VISIONI

Il tenero George e quel pastiche troppo anni ’80

POP
CECILIA ERMINIgb

Dominato, come ampiamente prevedibile, da quel pastiche di reggae e soul che tanto contribuì al successo planetario degli anni ’80, Life, il nuovo album, (a quasi vent’anni di distanza da Don’t Mind if I Do), di Boy George e dei suoi Culture Club appare come un fallimentare, seppur tenero, ritorno sulle scene. Se Bad Blood e Resting Bitch Face cercano, con sterili risultati, di creare future melodie da dancefloor (gli ultimi anni come DJ non sembrano però aver arricchito l’universo sonoro di Boy George), le restanti tracce si aggrappano alla memoria di glorie passate. SI MESCOLANO così liriche da delirio religioso («Il mio nome è Il Messaggero» apre la discotecara God & Love), con spaccati di violenza domestica e famiglie disfunzionali, a ritmi convenzionali che sembrano b-sides del leggendario Colour By Numbers. Piacerà ai fan talebani ma la sensazione di un’occasione sprecata, alla luce delle ricche sfumature vocali acquisite con l’età dal cantautore britannico, pervade l’intero ascolto di un album assolutamente non necessario.

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