POLITICA

Decreto sicurezza, in commissione via libera nel caos

Pd e LeU abbandonano i lavori per protesta. «Ci prendono in giro». Esulta Salvini: «Maggioranza compatta». Lunedì il testo in aula
CARLO LANIAITALIA/ROMA

«Questo è un vero e proprio circo, non possiamo andare avanti così. Lega e M5S ci prendono in giro». Il colpo di scena arriva nel pomeriggio, dopo che la maggioranza giallo verde per l’ennesima volta ha convocato e poi rinviato le riunioni delle Commissioni Affari costituzionali e Bilancio del Senato alle quali spetta il compito di esaminare il decreto sicurezza. Anzi spetterebbe, perché a parte chiamare al lavoro i senatori, approvare qualche emendamento del governo (ieri ha avuto il via libera uno che istituisce la lista dei Paesi sicuri per la valutazione delle richieste di asilo) e poi lasciare tutti liberi, da tre giorni di fatto non succede niente. Ufficialmente perché dalla ragioneria non arrivano le relazioni tecniche sugli emendamenti e subemendamenti al testo, ma per le opposizioni il ritardo sarebbe dovuto anche agli scontri ancora in corso all’interno dei grillini tra governativi e dissidenti, e soprattutto tra M5S e Lega. Il risultato, per dirla con le parole del dem Andrea Marcucci, è che «il decreto è in un pantano. Lega e 5 Stelle non sono in grado di andare avanti». Da qui la decisione di Pd e Leu di abbandonare i lavori delle due commissioni e chiedere alla maggioranza di portare il testo direttamente in aula, senza relatore. «Siamo arrivati a questa decisione dopo aver fatto una dura opposizione di un provvedimento che riteniamo pericoloso, incostituzionale e che è solo una manifesto per la propaganda», spiega invece la senatrice di Liberi e Uguali Loredana De Petris.
Altro che «il decreto procede spedito», come aveva detto solo due giorni fa Matteo Salvini. Al Senato intorno al provvedimento regna invece il caos, al punto che anche l’assemblea congiunta di senatori e deputati 5 Stelle, convocata per fare chiarezza su tutti i provvedimenti contestati, è stata anch’essa rinviata ancora, e questa volta a data da destinarsi. Segno che l’ipotesi di una tregua, frutto magari di una trattativa tra una delegata dei dissidenti e Luigi Di Maio sull’articolo 12 del testo che riforma il Sistema Sprar, non ha prodotto niente di buono. E anche da qui deriva lo stallo.
«Senza le relazioni tecniche non si possono verificare le copertura di spesa degli emendamenti e subemendamenti», spiega il senatore di Leu Vasco Errani, membro della commissione Bilancio. «Per averle però occorre tempo, se invece tu hai fretta e acceleri fai delle forzature, che senso ha?».
La situazione si sblocca in serata quando, assenti Pd e Leu, arrivano uno dopo l’altro il via libera dalle Commissioni Bilancio e Affari costituzionali. Esulta Salvini: «Nessuna polemica e maggioranza compatta nel nome della sicurezza», dice il ministro leghista.
Lunedì alle 9,30 il decreto sarà nell’aula del Senato dove ad attenderlo troverà almeno 80 richieste di voto segreto, destinate però a essere respinte. La possibilità di un ricorso al voto di fiducia a questo punto è infatti praticamente scontata per timore che possa crescere ulteriormente il malumore tra i grillini. Dei quattro usciti fino a oggi allo scoperto, Elena Fattori e Matteo Mantero sono i più decisi a non fare passi indietro: «Non posso votare un provvedimento illiberale e pericoloso. Il M5S si è appiattito sulla Lega», ha scritto ieri sera Mantero su Facebook. Più attendisti Gregorio De Falco e Paola Nugnes, intenzionati a vedere se sarà ancora possibile migliorare il testo prima del voto finale. «Il decreto tradisce radicalmente il programma del Movimento. Ora dobbiamo mettere insieme le carte: la valutazione complessiva la faremo alla fine, vediamo in aula», ha spiegato a sua volta la senatrice napoletana.
Dubbi dai quali Salvini è però deciso a non farsi condizionare, pronto se serve anche ad aprire ai voti di FdI e Fi. «La fiducia? Vediamo», spiega a sera il ministro degli Interni. «Spero sempre di no, ma se vogliono tirare a lungo un mese non abbiamo tempo da perdere». Un avvertimento che il leghista rivolge alle opposizioni, ma che vale anche per gli alleati a 5 Stelle.

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