COMMENTO

Una sentenza che sembra un’abdicazione

Eutanasia/Consulta
MASSIMO VILLONEITALIA/ROMA

Il coraggio, uno, se non ce l'ha, non se lo può dare. Si può capire, per chi si sente vaso di coccio tra vasi di ferro. Ma un giudice delle leggi? La Consulta ha rinviato al 24 settembre 2019 il caso Cappato, «per consentire in primo luogo al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina» sul fine vita, essendo prive di adeguata tutela «situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti».
Con una sentenza-monito i casi sono due. O è mera esortazione, se la Corte ritiene che la questione sia conclusivamente da lasciare alla discrezionalità legislativa. Oppure - se invece adombra una successiva pronuncia, variamente modulabile, di incostituzionalità - è una diffida ad adempiere. Tale sembra qui il caso, essendo il rinvio volto a consentire «in primo luogo» al Parlamento di intervenire.

Ma perché rinviare? La Corte non doveva decidere in termini generali sul fine vita o sull’eutanasia, Un punto nodale era ed è se assistenza e istigazione possono essere accomunate in una unica fattispecie di reato, come fa l’art. 580 c.p.: «Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito…».
In principio, si può intendere che “agevoli” anche chi solo sostiene la mano dell’amico o familiare che si è autonomamente e univocamente determinato a morire con dignità, ma non ha più la forza di staccare la spina.

L’istigazione è altra cosa. Non è necessario giungere a una disciplina generale del fine vita. Nella specie, sarebbe bastata una incostituzionalità parziale, in quanto estendere una identica disciplina a situazioni diverse viola il principio di eguaglianza. O forse anche, al limite, una sentenza interpretativa di rigetto, volta a chiarire senza creare vuoti normativi la lettura costituzionalmente compatibile dell’art. 580, di ispirazione fascista. Sarebbe rimasta comunque aperta la via per una successiva pronuncia di incostituzionalità.
Invece, il rinvio si potrebbe leggere come suggerimento che al legislatore sia consentito estendere la punibilità anche al mero assistere, magari in modo solo parzialmente differenziato rispetto al “determinare” o “rafforzare”. È una posizione che si mostra, ad esempio, coerente con il sentire prevalente nella Chiesa cattolica. E che però potrebbe portare a un passo indietro rispetto a casi che hanno fatto la storia, come Welby ed Englaro.

Dunque, un monito orientato? Un messaggio che non è un diritto il voler morire con dignità, senza fuggire - chi può - all’estero? Dobbiamo temere si giunga alla punibilità per l’autista dell’ultimo viaggio oltre confine?
Il rinvio può apparire come sostitutivo della decisione - preclusa alla Corte nel nostro diritto, e invece consentita al giudice delle leggi in altri ordinamenti - che gli effetti di una pronuncia di incostituzionalità decorrano da una data successiva a quella della pronuncia stessa. Ma allontanare in qualunque forma nel tempo la risposta lascia nell’ordinamento ferite aperte, da evitare comunque quando possibile, e con parole chiare in materie sensibili. Ancor più perché le decisioni della Corte sono coperte da una falsa unanimità, che poco conta sia destinata di fatto a cedere alle chiacchiere di corridoio su chi ha votato cosa. Per questo, da sempre sostengo l’introduzione per la Consulta del dissent, sul modello statunitense.

Il sistema politico stenta oggi a produrre scelte ampiamente condivise. L’indebolimento o dissolvimento del ruolo di confronto e mediazione dei corpi intermedi, e la distorsione della rappresentatività delle assemblee mediante leggi elettorali maggioritarie in chiave di governabilità, accentuano la propensione allo scontro frontale tra maggioranze e opposizioni pro tempore. Diventa più difficile disegnare nell’assemblea elettiva - come la Corte qui richiede - una “appropriata” disciplina, e il bilanciamento di beni costituzionalmente rilevanti.
È un tempo in cui la Corte non può abdicare alla responsabilità di decidere come garante della Costituzione, in specie laddove si tratti di libertà e diritti. Più di ieri, è necessario che parli con voce alta e forte. Nel tempo di oggi, cari giudici, il coraggio anche se non si ha bisogna proprio darselo.

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