Cara Bia, in tanti e tante mi chiedono oggi di parlare di te, di come te ne sei andata e del perché ci hai lasciato pochi giorni prima di compiere 69 anni. Ti saluto parlando con te, come abbiamo fatto per quasi quattro decenni, quasi quotidianamente e senza porci limiti di sorta.
Eri malata di un male veloce e ferocissimo che hai affrontato con un coraggio lieve, con dignità non esibita, con la tua consueta pacata intelligenza. Una dote che colpiva chiunque decideva di fare politica con te o di invitarti a far parte di una redazione, in cui magari poi diventavi direttrice. O di inventare un convegno, condividere un seminario di studi o una pratica femminista. Eri, fino a ieri, redattrice di Alternative per il Socialismo e direttrice del Letterate Magazine da te creato e voluto otto anni fa per dare maggiore forza e visibilità alla Società Italiana delle Letterate (che hai presieduto dal 2009 al 2011). Stavi anche attivamente nella redazione di Leggendaria, scrivevi sul manifesto con gioia (l’ultima volta l’8 marzo di quest’anno), partecipavi al Gruppo del mercoledì e amavi queste tue compagne di Roma, con le quali avete pensato cose interessanti e profonde sulla cura e poi sulla gravidanza per altri.
Per non dire dei tanti gruppi misti in cui, dall’Altra Europa di Tsipras in poi, ti sei avventurata con generosità e passione, studiando ancora e sempre, convinta di poter sempre capire qualcosa in più. Lì non ti ho molto seguita, ma sono certa che, come tuo solito, ascoltavi ciascuno e ciascuna prima di parlare con la tua voce sottile, bassa, mai imperiosa. Ma determinata, eccome. E sicura nello scandagliare ogni aspetto dei problemi, senza rimuovere nulla, senza spaventarti delle contraddizioni, senza avventarti contro l’avversario.
ERI COSÌ anche tanti anni fa quando lavoravi ai programmi culturali di Radio3. Siamo state insieme nella redazione di Ora D con tante altre giornaliste che venivano dal femminismo e a cui una dirigente illuminata, Marina Tartara, diede molto spazio nelle dirette mattutine degli anni Ottanta. Eri attenta e preparata, alla radio. E mettesti lo stesso impegno per Noi donne, rivista in cui hai scritto per anni e che hai diretto dal 1993 al 1999. Poi hai cominciato a scrivere libri con altre studiose: ti sei occupata di antropologia, di Elsa Morante, delle personagge, di come coniugare l’epica al femminile. E poi, insieme a tanti compagni, del coordinamento per la democrazia costituzionale con l’obiettivo di ricostruire una sinistra in questo Paese, certa che anche lì fosse necessaria la voce delle femministe. E che le diseguaglianze, tutte, andassero combattute sempre e dovunque, senza resa.
Leggo oggi sui social giovani donne che scrivono: «se tante di noi sono femministe è anche grazie ai testi, alle pratiche, allo scambio e alla divulgazione fatte da Bia e dalle sue compagne». E in questi mesi di malattia quante persone mi hanno chiamata per chiedermi di te, per poterti venire a trovare, concludendo ogni discorso con una frase che suona più o meno così: «Bia mi ha ascoltato e capito, le devo molto». Credo che tu sia stata una maestra per molte donne e chissà, anche per molti uomini. I tuoi due uomini, il marito e il figlio, ti hanno stimata infinitamente. E tu li hai amati tanto, anche quando li contestavi. O, sorvegliata com’eri, quando ironicamente dicevi: devo stare attenta a non fare la madre di figlio unico maschio.
HAI AMATO la politica, la moda, i film americani degli anni Sessanta, il femminismo, lo studio delle religioni, la scrittura, la lettura, la montagna e il mare, in particolare quello di Liguria, perché eri nata a Genova. E i tuoi fratelli e tua sorella e le amiche. E le terre romagnole da cui venivano i tuoi, comprese le sue tradizioni culinarie. Il fatto è che amavi la vita e la bellezza anche quando eri triste. E hai saputo sorridere di te fino all’ultimo, forse senza provare disperazione. Credo davvero, senza retorica, che tu sia stata in grado di infondere speranza in chiunque ti abbia ascoltato anche soltanto per poche ore.
Per questo non è facile consolarsi della tua morte. La verità è che solo Bia potrebbe consolarmi e consolarci della scomparsa di Bia. Perché nessuno come te sapeva dire le parole giuste nel momento in cui ne avevamo bisogno.
Proveremo a consolarci con quello che hai scritto in questi anni, con il ricordo del tuo sorriso profondo e pudico, della tua lucida intelligenza, del tuo amore per la giustizia e la verità.