COMMENTO

L’anti-socialismo che occulta i crimini della destra

Usa-America latina
ROBERTO LIVIvenezuela/argentina/america latina

Il presidente argentino Maurizio Macri ha confermato ieri che il suo paese, assieme a Cile, Colombia, Perù e Paraguay denunceranno di fronte alla Corte penale internazionale dell’Aja il governo del Venezuela per «lesa umanità».
Si tratta di un’iniziativa del tutto inedita nella breve (16 anni) vita del Cpi: mai in precedenza i governi di alcuni paesi hanno chiesto di aprire un procedimento contro uno Stato sovrano. Le ragioni sono varie: in primis che i tempi di intervento del Cpi sono lunghi – anni se si tratta di mettere sotto accusa un governo eletto come quello venezuelano. Dunque le ragioni d’urgenza invocate per «salvare il popolo venezuelano dalla dittatura del presidente Maduro» sono solo un - ben fragile - paravento per mascherare il vero scopo: elevare la pressione internazionale contro il Venezuela bolivariano proprio in concomitanza con le nuove minacce (sanzioni più dure che implicano anche la moglie del presidente Maduro, Cilia Flores) pronunciate dal presidente Donald Trump nel suo discorso alle Nazioni unite. 

Nessun dubbio dunque che si tratti di un’iniziativa politica che purtroppo può fornire il pretesto per una nuova e tragica «guerra umanitaria» contro il Venezuela. La proposta è stata lanciata dal Perù, ma l’impulso per trasformarla in una vera e propria denuncia è venuto dall’Argentina e soprattutto dalla Colombia. Lunedì il presidente Iván Duque a New York ha ribadito che quella venezuelana «è una dittatura che ha mandato in rovina tutte le libertà e ha perseguitato tutto un popolo e che causa una grave crisi umanitaria». Duque si riferisce alla «massiccia emigrazione», secondo fonti Usa 2,3 milioni di venezuelani fuggiti dal paese a causa delle drammatiche condizioni del paese.
Una serie di prove e documenti presentati dal governo di Caracas dimostrano che migliaia di venezuelani hanno lasciato il paese in seguito a una grande campagna promossa da Stati e organizzazioni che intendono sfruttare le difficilissime condizioni di vita del Venezuela, sottoposto da anni a una guerra economica e a pesanti sanzioni economico-finanziarie. A chi lasciava il paese venivano promessi abitazione e lavoro. Promesse quasi mai mantenute e in alcuni casi - come avvenuto in Perù - gli emigranti venezuelani sono stati utilizzati come una sorta di schiavi, senza alloggio, né paga, né assistenza medica. E a centinaia stanno ritornando in Venezuela, aiutati da uno speciale programma del governo.
Vi è però una crudele ironia nel fatto che le difficili condizioni di vita in Venezuela vengano utilizzate sotto il paravento della difesa dei diritti umani da governi che hanno ancora molti cadaveri negli armadi della democrazia in Argentina (30mila desaparecidos già dimenticati dal governo Macri), Cile (ancora tabù il lascito di Pinochet), Paraguay (in sostanza ancora sotto i nipoti di Stroessner) e Perù (indulto all’ex presidente Fujimori per i suoi comprovati crimini di «lesa umanità»). Ancora più eclatante il caso del presidente colombiano Duque, delfino dell’ex presidente Alvaro Uribe, padrino politico dei paramilitari coinvolti in migliaia di assassini di campesinos e leader sociali. Entrambi si sono opposti agli accordi di pace con l’ex guerriglia delle Farc nel 2016. Accordi mai rispettati visto che nelle zone che erano sotto controllo della guerriglia non è mai stata attuata una distribuzione delle terre, né sono stati realizzati i servizi sociali, salute, scuola, lavoro, previsti dagli accordi. Con la conseguenza che il «vuoto» delle Farc è stato riempito dai paramilitari e dalle bande di narcos (e negli ultimi tempi dai dissidenti delle Farc che proprio per questa situazione hanno ripreso le armi) con il triste bilancio di più di 170 leader sociali assassinati quest’anno e più di 300 dalla firma degli accordi di pace.

Un record in fatto di violazioni dei diritti umani. Duque volutamente ignora i più di cinque milioni di colombiani trasferitisi negli anni scorsi in Venezuela a causa delle lunghissima guerra contro le Farc e del terrore dei paramilitari. Al di là dei giudizi etici è ormai chiaro che la via giudiziaria - in paesi dove la magistratura ha forti vincoli con le élite economico-politiche - è lo strumento destinato a sostituire i tristemente famosi golpe militari per attaccare e abbattere governi socialisti o progressisti nei paesi latinoamericani. Si tratta del lawfare, come è stata battezzata la «guerra giuridica asimmetrica» usata contro governi, forze e leader politici di sisnistra che si sono opposti e continuano a farlo alle politiche neoliberiste imposte dagli Usa e dal Fmi contro i «populisti di sinistra», accusati appunto di corruzione. Iniziata con la destituzione del presidente Lugo in Paraguay (2012) , la lawfare ha portato ai noti processi politici in Brasile, prima all’impeachment di Dilma Roussef (1 settembre 2016), poi alla condanna dell’ex presidente Lula da Silva (24 gennaio 2018, 12 anni di carcere per «corruzione»).

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