INTERNAZIONALE

La lista dei preti sarà approvata dal partito

CINA-VATICANO
LUCA KOCCIvaticano/cina/pechino

Per gli oppositori di papa Francesco e per alcuni settori della Chiesa «clandestina» cinese è un cedimento, anzi un «tradimento» alla Cina comunista. Per gli estimatori invece è un grande successo della diplomazia vaticana e dello stesso pontefice. Sicuramente l’accordo «provvisorio» tra Santa sede e Repubblica popolare cinese sulla nomina dei vescovi, firmato sabato scorso a Pechino dai viceministri degli esteri vaticano (mons. Camilleri) e cinese (Wang Chao), apre una nuova pagina nei rapporti tra Cina e Vaticano, congelati dal 1951.
Dopo la proclamazione, da parte di Mao, della Repubblica popolare, nel 1958 viene creata, con l’appoggio del governo, l’Associazione patriottica cattolica cinese, da cui nasce una sorta di Chiesa ufficiale, che ordina vescovi non riconosciuti e automaticamente scomunicati dal Vaticano. Parallelamente si sviluppa una Chiesa clandestina, con vescovi fedeli a Roma. Fra gli aderenti alle due comunità vi sono contatti e sovrapposizioni, ma di fatto in Cina esistono due Chiese.
L’accordo «provvisorio» del 22 settembre stabilisce una procedura unica per la scelta dei vescovi. Il testo resta segreto, così da poterlo modificare senza clamori. Tuttavia l’iter dovrebbe essere il seguente: i candidati vengono selezionati nelle diocesi, il governo concede la propria approvazione, infine il papa consacra i vescovi. Se strada facendo c’è qualche intoppo, si azzera tutto. In questo modo il papa è il solo a consacrare i vescovi ma il governo mantiene un controllo sui nomi. Una mediazione in cui entrambi gli attori concedono qualcosa ottenendo qualcos’altro e che potrebbe porre fine alla duplicazione delle Chiese e portare alla «pace» fra Roma e Pechino.
È un «tradimento, si rischia uno scisma», tuona il cardinale Zen, arcivescovo emerito di Hong Kong, punto di riferimento della Chiesa clandestina, fortemente critico verso il riavvicinamento alla Cina perseguito da Francesco. Zen spara a zero anche sulla segretezza dell’accordo: la Santa sede ci dice «abbiate fiducia in noi, accettate quello che abbiamo deciso», dichiara ad Asia news, ma «accettare ed obbedire senza sapere nulla? Obbedire “come un cadavere”, secondo la regola dei gesuiti?». «Questo accordo sarà un segno di speranza e di pace in un mondo in cui continuano a costruirsi muri», commenta in maniera entusiastica padre Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica e vicinissimo a papa Francesco. Il segretario di Stato, cardinal Parolin, regista dell’operazione, spiega il senso dell’accordo anche alla luce della realpolitik: «C’è bisogno di pastori che siano riconosciuti dal papa e dalle legittime autorità civili cinesi», in questo modo le «Chiese locali godranno condizioni di maggiore libertà, autonomia e organizzazione». Il primo frutto dell’accordo: la revoca della scomunica ai sette vescovi “patriottici” (otto se si conta un vescovo morto nel 2017 che aveva espresso il desiderio di essere riconciliato con Roma) fino ad ora non riconosciuti dal Vaticano.

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