CULTURA

La ragazza con la macchina fotografica

Album
LUCIANA CASTELLINAITALIA/MILANO

Sorridente sempre, perché sempre ben disposta verso il mondo, comunicativa nel suo ottimismo, che nasceva dal fatto che la vita le piaceva e voleva che piacesse a tutte e tutti. E lei aiutava a condividere il suo modo di affrontarla. Stamattina – ero in treno lungo la Puglia - appena ho saputo che se ne era andata, insieme al dispiacere di averla ormai perduta, è proprio questa sua contagiosa vitalità che mi ha investito, ho sentito la vampata di ricordi di mille incontri durati quasi l’arco dell’esistenza, belli anche quando bello non era quanto accadeva attorno a noi. A cominciare da quel giorno terribile del 1972, il funerale di Giangiacomo in una Milano paralizzata dalla paura e dall’inquietudine.
Della sua vita – colma di accadimenti – voglio ricordare solo un pezzetto, perché fu lei a raccontarmelo nei dettagli un giorno che affettuosamente mi aveva telefonato per avvertirmi che in un libro avevo commesso un piccolo sbaglio, scrivendo che il ragazzo incontrato sulla dissestata ferrovia Praga-Budapest nel lontanissimo ’47, poi ritrovato ottuagenario professore di fisica a Toronto, non era il figlio bensì il nipote del mitico Karl Polany. Fu l’occasione per scoprire una pagina particolare della sua vita: quella di quando era stata la «ragazza con la macchina fotografica». Perché Inge proprio con quel mestiere aveva cominciato, giovanissima e subito anche in questo campo con successo, la sua avventura professionale. In un’America sotto la cappa cupa del maccartismo, gli amici più vicini, laggiù quasi una seconda famiglia, proprio i Polany. Perseguitati, perché sospetti di comunismo.

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