SOCIETA

Prete anomalo, simbolo della Chiesa non collusa

15 SETTEMBRE 1993
LUCA KOCCIitalia/palermo

È la sera del 15 settembre 1993, giorno del suo compleanno (56 anni), quando don Pino Puglisi, parroco di San Gaetano a Brancaccio, viene ucciso da Salvatore Grigoli (che gli spara un colpo di pistola alla nuca, da pochi centimetri), per ordine dei fratelli Graviano, boss del quartiere.
UCCISO PER IL SUO IMPEGNO antimafia poco appariscente ma concreto. Non era un «professionista dell’antimafia», ma tutti i giorni lavorava per rendere vivibile un rione ostaggio della mafia, per educare le persone a non sottomettersi e a rivendicare i propri diritti.
«Cercava di levare i ragazzini dalle mani dei criminali per non farli diventare mafiosi, faceva manifestazioni, tutto questo dentro quel quartiere che era un regno dei Graviano», dirà al processo il pentito Antonio Calvaruso. Era diverso padre Puglisi dagli altri «parrini», espressione paradigmatica che fonde in un’unica parola prete e padrino, perché «un prete che si fa i fatti suoi campa cent’anni - aggiungerà un altro pentito, Salvatore Cancemi - Questo qua invece disturbava Cosa Nostra».
Anomalo, quindi, rappresentante di una chiesa altra, non sottomessa né collusa, che andava ricondotto all’ordine, oppure tolto di mezzo.
NATO A BRANCACCIO, PUGLISI segue il percorso tradizionale di un giovane che vuole diventare prete: i gruppi, il seminario, fino all’ordinazione presbiterale nel 1960, dal cardinal Ruffini, quello che sosteneva che la mafia era un’invenzione dei comunisti.
Dopo una serie di incarichi a Palermo e in provincia, nel 1990 il cardinale Pappalardo lo nomina parroco di San Gaetano, anche per normalizzare una parrocchia considerata troppo di sinistra. Puglisi si tuffa in una realtà sociale di povertà e sottomissione al dominio mafioso, dove, scrive egli stesso, «i bambini vivono in strada e dalla strada imparano solo le lezioni della delinquenza», «l’unico quartiere di Palermo in cui non esiste una scuola media perché questo fa comodo a chi vuole che l’ignoranza continui».
Inizia dai bambini, li porta in parrocchia per farli giocare e studiare. Poi gli adulti: parte la collaborazione con il Comitato intercondominiale di via Hazon, dove in alcuni palazzoni il Comune ha stipato centinaia di sfrattati.
INSIEME CONDUCONO la battaglia per le fogne, per un presidio socio-sanitario, per la scuola media. Contemporaneamente rompe i legami fra la parrocchia e i mafiosi: vieta al Comitato feste di passare per le case a riscuotere i soldi - quasi un pizzo - e ridimensiona la festa del patrono, diventata una vetrina per i boss, di cui rifiuta le offerte, taglia i rapporti con i notabili della Dc.
Nasce il Centro «Padre Nostro»: spazio socio-culturale, centro di assistenza per i più poveri, luogo dove si impara a conoscere e a rivendicare i propri diritti («non chiedete come favore ciò che è vostro diritto ottenere», ripete), spezzando i meccanismi di sottomissione e di clientelismo che da sempre regolano la vita a Brancaccio. Pappalardo manda tre suore e un viceparroco per aiutarlo, ma di fatto lo isola.
«SE IL CARDINALE avesse preso una chiara posizione per far comprendere che Puglisi non era solo ma anzi godeva del sostegno della Chiesa palermitana probabilmente sarebbe ancora con noi», ricorda Giuseppe Martinez, uno degli animatori del Comitato intercondominiale.
Il parroco dà troppo fastidio ai Graviano, iniziano intimidazioni e minacce, anche nei confronti di chi collabora con lui: vengono incendiate le porte delle abitazioni dei tre leader dell’Intercondominale, un giovane della parrocchia viene aggredito. Puglisi va avanti. Fino al 15 settembre 1993. 
L.K.

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