VISIONI

Memoria palpitante del passato in un quartiere borghese

AMBIENTATO A CITTÀ DEL MESSICO «ROMA» DI ALFONSO CUARON, IN CONCORSO
SILVANA SILVESTRIITALIA/VENEZIA

Il processo che da tempo in vari paesi del latinoamerica ha portato al lungo lavoro sulla memoria è anche al centro dell’ultimo magnifico film di Alfonso Cuaron, Roma che apparentemente si aggira tra le tranquille stanze di un appartamento del borghese quartiere di Città del Messico che dà il titolo al film e rimette in scena nodi non risolti della società. Un lungo periodo di amnesia su dittature e massacri ha colpito Argentina e Cile, ma anche in Messico non si sono fatti i conti con i massacri compiuti dai corpi speciali paramilitari addestrati negli Stati Uniti dalla Cia in azione contro le manifestazioni studentesche del 1971.
UNA RETE sottile di indizi si mette in moto a cominciare dalle stanze di servizio e dalla cucina, insospettabili luoghi di testimonianza. L’incipit inquadra la pavimentazione del patio inondato poi dall’acqua sempre più scura che la domestica spinge avanti per lavare a fondo. Il bianco e nero del film lascia in sospeso il significato di quell’acqua scura, potrebbe suggerire il sangue lavato via o tutto quanto di marcio si è dovuto rimuovere. Si entra quindi nella vita quotidiana gerarchicamente composta, dal capofamiglia che incede maestoso alla guida della Ford Galaxy, la nonna che controlla l’ordine domestico, la madre elegante presenza vigile sui quattro figli e le due domestiche di origine india ininterrottamente al lavoro, come avviene in tutte le altre case del quartiere. Roma nasce precisamente dai ricordi del regista, la casa della sua infanzia è stata ricostruita nei particolari, ha voluto intorno a sé solo maestranze di lingua spagnola (anche se lui stesso ha ricoperto la maggior parte dei ruoli, dal direttore della fotografia al montaggio). L’andamento della vita domestica è l’osservatorio privilegiato da cui mostrare la costruzione gerarchica di una società maschilista, dove le domestiche sono l’ultimo anello, testimoni anche dello sgretolamento di una vita protetta.
DA POCHI indizi, da piccoli eventi fino a quelli più inaspettati e drammatici è reso palpabile il cambiamento dei tempi, così come i drammi personali alludono alle tragedie che avvengono per strada, ma senza che ci sia bisogno di mostrarle se non per allusioni. A tavola tra una portata e l’altra qualcuno racconta di un poliziotto che ha sparato in testa a un ragazzo per aver fatto scoppiare un palloncino pieno d’acqua, le armi circolano come passatempo del fine settimana, un fidanzato della domestica le mostra la sua abilità nelle arti marziali. Si arriva così alla carica dei karateka e dei corpi armati speciali con fucili di precisione, ma bastano pochi secondi per riannodare tutti i fili, magnifico lavoro di costruzione che svela più dimensioni, dalla struttura classista della società, dal quartiere benestante al pueblo senza acqua e senza luce, le strade di fango. Cuaron fa emergere da ogni angolo dello schermo la vita palpitante del passato e ciò che resta di vitale nel presente, la rete degli affetti, i suoi ricordi d’infanzia portati poi da grande sullo schermo. Da un calcinaccio caduto per via del terremoto ricorda il disastro che spazzò via interi quartieri nel 1970, da una canna di kaendo manovrata con una certa abilità riporta alle centinaia di «halcones» (i falconi, dotati anche di armi di precisione) lanciati contro gli studenti nella manifestazione del giugno 1971 dove si contarono 120 morti, il massacro del Corpus Christi, di cui ancora non sono state chiarite le reponsabilità dirette.
Il regista di Gravity (in una scena è tracciata la prima folgorazione per i perduti nello spazio) spiega la sua scelta del bianco e nero: «Fa parte del Dna del film che ha come momenti centrali il personaggio di Cleo, la domestica, quindi la memoria e poi appunto la scelta del bianco e nero, L’uso dei piani sequenza è legato alla memoria, non volevo fare soggettive, volevo osservare quei momenti con una certa distanza, senza giudicare. Ci sono tanti simboli nel film che il pubblico è libero di decodificare. Non volevo fare un film nostalgico, volevo un bianco e nero contemporaneo, digitale, molto avanzato da un punto di vista tecnologico».
TRA I PRODUTTORI di Roma compare anche Netflix, che distribuirà il film sulla piattaforma ma anche in sala: «Sappiamo che un film in spagnolo - dice Cuaron - parlato per lo più in lingua indigena e che oltretutto è un dramma, non ha tanto spazio nelle sale, ma è importante che abbia un certo impatto e che duri nel tempo. Sala e televisione non si contrappongono. E poi quanti hanno visto di recente un film di Antonioni al cinema?»

Supporta il manifesto e l'informazione indipendente

Il manifesto, nato come rivista nel 1969, è sinonimo di testata libera, indipendente e tagliente.
Logo archivio storico del manifesto
L'archivio storico del manifesto è un progetto del manifesto pubblicato gratis su Internet e aperto a tutti.
Vai al manifesto.it