VISIONI

«The Bassarids», la vendetta di Dioniso è come una danza

A SALISBURGO LA MAGNIFICA REGIA DI WARLIKOWSKI DEL CAPOLAVORO DI HENZE
ANDREA PENNAAUSTRIA/SALISBURGO

Accanto alla Salome di Strauss allestita da Romeo Castellucci, altri due celebri titoli operistici hanno illuminato alla Grosses Festspielhaus di Salisburgo l’intramontabile dibattito sui rapporti fra opera e capolavori teatrali e letterari.
IL REGISTA Hans Neuenfels legge la Dama di Picche di Caikovskij attraverso sguardo deformato del protagonista. L’intera vicenda di Hermann, ossessionato dalla vittoria al gioco e dalla possibilità di salvezza offerta per contrasto dall’amore impossibile con Liza, si presenta come un’allucinazione. I tratti, i colori e persino i costumi (di Rheinhard von der Thannen ) evocano una società opprimente, con grottesche reminiscenze desunte dalla tradizione ballettistica. In questa prospettiva il tragico amore di Liza - la fragile, lirica Evgenia Muraeva - scivola sullo sfondo come nell’originale di Puskin, mentre i legami virili intorno al tavolo da gioco riaffermano la centralità della figura di Hermann, il tenore Brandon Jovanovich, voce spinta all’estremo ma perfetto nell’esaltare la furia ossessiva del personaggio. La morte orrifica della vecchia contessa permette a Neunfels di realizzare la scena migliore dello spettacolo per il resto interlocutorio, con una Hanna Schwarz inquietante nelle sfumature del canto francese di Gretry quanto credibile come decrepita «Venere di Mosca» accesa dal desiderio di un estremo abbraccio d’amore.
OTTIMO il resto del cast, specie il Tomsky di Vladislav Sulimsky e la Pauline di Oksana Volkova. Una patina di disperata nostalgia traspariva nella direzione palpitante, sensibilissima di Mariss Janson, travolgente nei passaggi più accalorati e impeccabile nell’equilibrio del contrappunto dell’intermezzo pastorale, meraviglioso calco mozartiano. Accanto ai Wiener Philhrmoniker va lodato anche il coro della Wiener Staatsoper, impressionante nell’evocazione del compianto finale.
Più centrata e attenta allo sviluppo narrativo e ai versi di Auden e Kalman la regia di Krzysztof Warlikowski, che cura un allestimento di Bassarids di Henze destinato a rimanere nella storia recente del festival. Lo spettacolo, nel dipanare con ritmo incalzante la rilettura delle Baccanti di H. W. Henze e dei suoi librettisti, sottolinea le ragioni della vendetta di Dioniso con una sezione della scena - di Malgorzata Szcesniak - dedicata al sacrario di Semele, madre del dio, custodita in una teca da santa cattolica. Accanto, il palazzo del re Penteo e il Citerone, i luoghi che Dioniso travolge con l’ebbrezza orgiastica del suo culto, la sua vendetta per distruggere Tebe. Perfetti nell’azione scenica e nel canto il Dyonisus implacabile di Sean Pannickar e il Pentheus di notevole presenza di Russel Braun, il Tiresias di Nikolai Schukoff, il Cadmus dell’intramontabile Willard White, la Beroe di Anna Maria Due, la Autonoe di Vera Lotte Boeker, la furente Agave di Tanja Ariane Baumgartner.
NELLA SCENA dello smembramento del figlio le menadi erano affiancate dalla violenza muta della straordinaria Rosalba Guerrero Torres, danzatrice che incarna il doppio di Dioniso. Fiammeggiante e nitida a un tempo, come la partitura richiede, la direzione di Kent Nagano, alla guida dei Wiener Philharmoniker e del coro dello Staatsoper viennese.
La versione originale dell’opera, che nella prima del 1966 a Salisburgo fu sostituita dalla traduzione tedesca, era qui presentata nella sua completezza, con l’intermezzo «il giudizio di Calliope»,fitto di rimandi britteniani, poi espunto dallo stesso compositore.

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