È sempre rischioso cercare dei fili rossi nella programmazione di un festival come quello di Salisburgo, dalla sterminata varietà di proposte. L’irresistibilità delle passioni e del desiderio fungeva da motore dei due titoli alternati alla Haus für Mozart, articolando vicende di esito e caratteri completamente diversi. L’Italiana in Algeri di Rossini, nello spettacolo del duo Patrice Caurier e Moshe Leiser, creato in maggio per il festival di Pentecoste e tagliato su misura per l’Isabella esuberante di Cecilia Bartoli. Era infatti il mezzosoprano italiano a imporsi, arrivando in abito fiorato su un dromedario, come procace molla catalizzatrice del desiderio maschile: «la bella italiana», catturata per risolvere la crisi matrimoniale del bey algerino, tramutato in panciuto contrabbandiere di materiale elettronico, finisce per svuotargli la prigione, riportare a casa il suo antico innamorato e cauterizzare le voglie dell’appesantito macho in canotta, ricondotto al tetto familiare.
Trionfo della donna «sgamata» in una colorata Algeri contemporanea, fra frigoriferi, parabole e un mare di gag , alcune esilaranti, che si susseguivano al ritmo di musica. Gran finale alla «Neri Parenti» sul panfilo di Isabella, con tanto di prestante squadra di calciatori, gli schiavi italiani, stereotipati a bella posta, pastasciutta alla mano, come in Miseria e nobiltà di Scarpetta.
EFFICIENTE ma linfatica la direzione di Jean-Christophe Spinosi alla guida dell’Ensemble Matheus, magnifici il Bey di Ildar Abrazakov e il Taddeo del veterano Corbelli. Bene il Lindoro di Edgardo Rocha, mentre Cecilia Bartoli, osannata dal pubblico, crea a suon di spericolate variazioni un personaggio piccante che risulta al meglio nelle languide volute di «Per lui che adoro».
LA PASSIONE è anche la leva che muove le ambizioni di Poppea e le impulsive, implacabili decisioni di Cesare nell’Incoronazione di Poppea di Monteverdi ( in scena fino al 28 agosto), realizzazione scenico-coreografica dell’artista Jan Lauwers e del collettivo Lemm&Barkley, collaudata partnership della scena teatrale sperimentale, approdata all’opera per la prima volta. Più studio che spettacolo, l’allestimento presentava una geografia di corpi, passioni e crudeltà poco leggibili.
La scena spoglia e buia, incentrata sull’incessante piroettare di un danzatore, lasciava spazio a brevi incursioni coreografiche e all’agire dei cantanti: le doviziose e determinate Poppea e Ottavia di Sonya Yoncheva e Stéphanie d’Oustrac, il capriccioso Nerone «beat» di Kate Linsday, l’Ottone appassionato di Carlo Vistoli, il Seneca insolitamente giovanile di Renato Dolcini, la Drusilla luminosa di Ana Quintans, le nutrici «nemiche» di Marcel Beekman e Dominique Visse.
Alla prima il pubblico ha apprezzato il voluttuoso senso del fraseggio imposto, a dispetto della scomoda disposizione orchestrale centrale, da William Christie alla compagine de Les Arts Florissants, ha premiato cantanti e danzatori ma ha contestato piuttosto vivacemente la messa in scena.