COMMENTO

Dietro lo scontroil fiato cortodel governo

Cdp
MARCO BERSANIITALIA/ROMA

Lo scontro sulle nomine dei vertici della Cdp, e che ha visto protrarsi l’esito per oltre un mese, fino all’accordo di ieri sul nome di Palermo, è illuminante della situazione in cui si trova il governo Lega-5Stelle
Su quelle nomine si intrecciano infatti diversi conflitti. 
Il primo, palesatosi in questi ultimi giorni, ha visto contrapporsi -fino al rischio di rottura finale- il Ministro dell’Economia, Giovanni Tria, da una parte, e i due maggiorenti della coalizione di governo, Salvini e Di Maio, dall’altra. 
Essendo il primo di profilo «tecnico» e, di conseguenza, fedele guardiano della stabilità dei conti sulla quale sta particolarmente premendo la Commissione europea, ed essendo i secondi necessitati a trovare in qualunque modo risorse per poter almeno avviare qualcuna delle innumerevoli promesse agitate in campagna elettorale e scritte nel contratto di governo, lo scontro si è palesato sulla qualifica «tecnica» o «politica» della nomina. Ovvero se la scelta spettasse al Ministero dell’Economia o ai partiti della coalizione di governo. 

La nomina di Fabrizio Palermo - particolarmente caldeggiata da Di Maio- chiude questa prima tappa di questo conflitto, al termine del quale il Ministro Tria -dopo aver raggiunto il punto di rottura- ha portato a casa la nomina di Alessandro Rivera alla Direzione Generale del Tesoro.
Le rassicurazioni sulla pace e la concordia che regnano nel Governo, rimbalzate ad uso stampa da tutti i contendenti, sono il segnale di una dicotomia che potrebbe trasformarsi in conflitto permanente.
C’è tuttavia un secondo conflitto legato alle nomine Cdp, poco emerso in questi giorni ma quasi sicuramente destinato ad esplodere in autunno. Questa volta la contrapposizione sarà direttamente fra Lega e 5Stelle.

Passata l’ubriacatura elettorale, diventa infatti sempre più evidente come, date le compatibilità promesse e le conseguenti risorse disponibili, il nuovo governo si appresti a varare nel prossimo autunno una Legge di Bilancio in cui tutte le promesse elettorali di cui sopra non solo non potranno essere realizzate, ma neppure accennate.
C’è poco da girarci intorno. Se, aldilà di roboanti dichiarazioni stampa contro le politiche di austerità, si decide di stare dentro la trappola del debito e dentro i vincoli di bilancio prefissati dall’Unione europea, il quadro è tanto chiaro quanto desolante: data la frenata della «crescita» prevista da Banca d’Italia e Fmi, e data la prossima fine -o comunque trasformazione al ribasso- del Quantitative Easing della Bce di Mario Draghi, vanno da subito trovati 8 miliardi anche solo per mantenere la situazione di deficit attuale.

Figuriamoci se, in questo contesto, qualcuno possa anche solo accennare al “reddito di cittadinanza” grillino o alla Flat Tax leghista.
Lo scontro su Cassa Depositi e Prestiti assumerà i contorni di una guerra fra i due maggiori partiti per vedere chi, riuscendo a mettere le mani sul tesoretto di Cdp, possa almeno provare a scontentare di meno il proprio elettorato rispetto a quello dell’altro.
Perché una cosa sembra chiara a tutti gli attori in campo: dopo aver sbandierato a destra e a manca l’arrivo della nuova era, sarà difficile continuare ancora a lungo a canalizzare la collera sociale- inventandosi un’emergenza migranti che non esiste- al grido razzista di «prima gli italiani», se poi quegli stessi italiani chiamati a raccolta non vedono alcun cambiamento concreto delle loro condizioni di vita. Resta un assordante silenzio che circonda i duelli in corso: quello dei movimenti sociali, delle comunità territoriali e dei Comuni consapevoli, che sull’utilizzo -decentrato, diffuso, partecipativo, finalizzato all’interesse generale- dei 300 miliardi di risparmio postale in pancia a Cassa Depositi e Prestiti saprebbero da subito cosa fare: avviare l’inversione di rotta verso un modello sociale in cui le vite (di chi c’è e di chi arriva) vengano prima del debito, i diritti prima dei profitti, il «comune» prima della proprietà.

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