COMMENTO

Una polemica giocata tra il reale e il virtuale

Conflitti ministeriali
MASSIMO VILLONEITALIA/ROMA

La polemica sulla «manina» che avrebbe inteso sfregiare il Dl dignità con la previsione di posti di lavoro perduti, e la guerra annunciata a complottisti e sabotatori, si mostrano fuori misura. Suggerendo ragioni diverse per quel che accade. I conflitti fra ministeri sono fisiologici. I giuristi hanno dato un nome all’interesse di cui ogni ministero è portatore per la parte del programma che ad esso è riferita. È l’interesse dicasteriale, che può certo richiedere mediazioni complesse con altri pezzi del governo. Ma nell’esecutivo gialloverde vediamo un conflitto reale, e uno virtuale. 

Il conflitto reale è tra il ministero del lavoro e quello dell’economia. Il primo mette la bandiera M5S su progetti ambiziosi, il secondo misura le risorse disponibili. Di Maio vorrebbe tutto subito, o almeno al più presto, mentre Tria dice con parole inequivoche che con la spesa pubblica non si scherza. Si vedrà. E Di Maio annaspa tra il rinvio del reddito di cittadinanza a un futuro nebbioso e il ritorno dei voucher.
Il conflitto virtuale è tra i ministri del lavoro e dell’interno. Salvini ha preso la testa sul piano dell’immagine, detta l’agenda, e - ancor peggio - lo squilibrio si riflette nei sondaggi. La Lega sale, M5S scende. In una politica volatile, che non esclude di tornare alle urne tra pochi mesi, questo può essere un segnale di pericolo concreto.
La mossa della manina sposta la questione dal conflitto reale, nel quale Di Maio può solo perdere e anzi ha già perso, a quello virtuale. Di Maio chiama alla guerra santa contro gli infedeli complottisti e sabotatori che tramano nell’ombra a danno di M5S e del suo progetto di bandiera. Si passa dall’interesse all’integralismo dicasteriale. Non manca chi vorrebbe la pulizia etnica dei non allineati. Vanno sotto accusa la Ragioneria e l’Inps, e si sussurra di una sorda guerra su nomine di peso. Tecnici sì, purché bene orientati. Se così fosse, avremmo una versione da reality show dello spoils system di antica tradizione.
Quanto ai complotti, Alfonso Gianni ha qui spiegato come gli 8000 posti all’anno perduti siano il banale conto dei rapporti che non rientrano nel nuovo quadro normativo. È un dato, come dice Boeri. Il quale dovrebbe però aggiungere che le relazioni «tecniche» sono anche basate su scenari di probabilità dipendenti da variabili molteplici e incerte, tra cui l’impatto dello stesso quadro normativo modificato. Avanza accusa di negazionismo economico. Ma si rende a sua volta colpevole di negazionismo previsionale.
Nella sostanza, la polemica lascia tutto tal quale. Cosa cambierebbe, cancellando ogni cenno agli 8000 posti? Alla fine, è certo solo il danno all’immagine della compagine e delle strutture di governo. Qualche strumento sarebbe pure disponibile per evitarlo. L’art. 5 della legge 400/1988 attribuisce al presidente del consiglio poteri di indirizzo e coordinamento dei ministri, in base all’art. 95 della Costituzione. Ma di fatto è Conte ad essere indirizzato e coordinato. Ed è clamorosa la disapplicazione del comma 2, lett. d), per cui il presidente «concorda con i Ministri interessati le pubbliche dichiarazioni che essi intendano rendere ogni qualvolta, eccedendo la normale responsabilità ministeriale, possano impegnare la politica generale del governo». Vale a dire che Salvini e Di Maio non dovrebbero più imperversare su Twitter e Facebook in diretta con le proprie tifoserie. Chi li imbavaglia?
Il conflitto interministeriale diventa patologico se si traduce in una quotidiana e pubblica vetrina di anime molteplici insofferenti alla coabitazione. Non è un caso che la riservatezza sia tra le best practices del governare. Il contrario può avere senso solo quando le urne si avvicinano. Il che sarebbe anche interessante, se Pd e sinistra fossero in grado di mettere in campo qualcosa di competitivo in tempi brevi. Ma di questo al momento non v’è traccia.
Abbiamo però apprezzato la Boschi. Un ministro – ci insegna - deve sempre leggere le relazioni tecniche, come lei ha diligentemente fatto. Magari è anche vero. Ma poi, le ha capite? Ricordando come non abbia tenuto alcun conto dei tanti pareri tecnici contrari alla (anche sua) famigerata riforma costituzionale, c’è da dubitarne.

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