VISIONI

Danze sfrenate sul tetto del mondo

«Suoni al servizio del ballo», è il focus del festival di world music sulla costa norvegese
VALERIO CORZANInorvegia/Førde

La locandina del festival mostra alcuni strumenti etnici che diventano gambe e piedi: è un’immagine efficace per una rassegna di world music che esplora quest’anno i fertili rapporti tra musica e danza. Siamo a Førde, nel centro del Sunnfjord, località anfibia come quasi tutte quelle di queste parti. Località che lascia che sia l’acqua a battere il ritmo stagionale della zona: che sia in forma di neve, di ghiaccio, di pioggia, di cascate, di lago o di fiume non importa…Førde, come segnala il nome che si è data, si trova proprio in cima ad una di quelle spettacolari insenature liquide che disegnano la costa norvegese e che mettono in scena un maestoso quanto quieto, tranquillizzante, spettacolo naturale. In questo scenario, da 29 anni a questa parte, viene celebrata anche un’importante rassegna dedicata alle musiche del mondo. Appuntamento rilevante per gli addetti ai lavori perché si caratterizza quale approfondimento delle tradizioni musicali nordiche e sceglie ogni anno un focus tematico che poi sviluppa con pregevole coerenza.
QUEST’ANNO il focus era il rapporto tra musica e danza, un tema che concilia le due attitudini del festival dal momento che proprio nel ricco patrimonio della musica popolare norvegese è ancora forte il ruolo funzionale di «suoni che sono al servizio del ballo». Un ruolo testimoniato a Førde da decine di appuntamenti e da percorsi didattici che proprio alle danze popolari e ai loro adepti si rivolgevano. La direttrice artistica Hilde Bjørkum deve aver condiviso la riflessione dello studioso Curt Sachs che ha definito la danza come «la madre delle arti, eruzione di forze represse ed estasi del corpo». La danza accompagna l’uomo dall’inizio della sua evoluzione, come testimoniano le più antiche pitture rupestri, e poi i dipinti veri e propri e i documenti scritti, nei principali momenti di passaggio della sua vita la danza è sempre stata considerata necessaria: nascita, nozze, morte, iniziazione dei giovani, vittorie, lunazioni, semina, raccolto.
LE FORZE VITALI represse che con essa vengono liberate possono assumere forme disarmoniche, armoniche, o tradursi in danze vorticose, come quelle dei dervisci, o addirittura sedute, come quelle dei guaritori andamani. A Førde ne abbiamo trovate in esposizione tantissime: dal flamenco della compagnia di Manuel Ramirez alla pizzica del Canzoniere Grecanico Salentino, dalla rumba catalana di Muchacho & Los Sobrinos alle evoluzioni su tappeti di balafon dei giovani mozambicani Timbila Muzimba, dalle coreografie dei norvegesi Majorstuen e dei finlandesi Frigg ai boleri e alle salse dei cubani Son del Nene…Ma di una kermesse che proponeva almeno una quindicina di concerti al giorno, quattro toccano lo zenith emozionale dal punto di vista musicale che incorniciano il sapore genuino di questo appuntamento nello scrigno naturalistico scandinavo e la sua apertura al mondo. Innanzitutto Karl Seglem, ascoltato in un’anteprima del festival nel proscenio immacolato dell’Utladalen Naturhus (un rifugio ai piedi di una serie di percorsi da trekking).
ZEGLEM ha alternato l’utilizzo del sax tenore a una serie di corni di animali che soffia con la stessa maestria con cui il trombonista Steve Turre imbraccia le conchiglie. Insieme ai due musicisti del suo trio e alla voce di Berit Opheim (già Trio Mediæval) ha presentato un set di brani molto densi, stratificati, ipnotici, capaci di coniugare gli anthem del folk norvegese e un tipo di trance globalizzata, le strutture tradizionali e l’improvvisazione. La cornice del palcoscenico in cui si è esibito Danyèl Waro era certamente meno suggestiva (il piccolo club del Sunnfjord Hotel), ma la potenza del suo spettacolo di canti creoli ha sublimato qualsiasi reticenza mettendo in scena la trance del maloya, musica meticcia de La Reunion, con maestria e furore poetico. È un grande anche il senegalese Ablaye Cissoko, il suo tirocinio da griot, le sue imprese discografiche al fianco prima di Volker Goetze e poi di Simon Goubert, l’hanno ampiamente testimoniato. A Førde è arrivato con uno di quei progetti «pericolosi» perché mettono in scena un sincretismo inedito e una contaminazione che potrebbe risultare malriuscita.
SI TRATTA dell’incontro col trio Constantinople, un ensemble che ha scelto il viaggio e le peregrinazioni sonore come pietre angolari, attitudine ulteriormente allargata nell’incontro con Cissoko. Per chiarire i termini di questo incontro multietnico basta elencare provenienza dei musicisti e strumenti imbracciati: il senegalese Ablaye Cissoko (kora e voce), l’iraniano Kiya Tabassian (setar e voce) e i canadesi Pierre-Yves Martel (viola da gamba) e Patrick Graham (percussioni). Musica mandinga, barocco, tradizione arabo-andalusa, canti persiani e cultura ottomana in una fornace piena di calore poetico. Un calore che ha permeato anche la produzione originale fissata all’ora della compieta all’interno della chiesa parrocchiale di Førde.
Di scena il trombettista Harve Henriksen, la virtuosa di hardingfele (il violino norvegese) Synnøve Bjørset, l’organista Sigbjørn Apeland e i due cantanti Kim Rysstad e Malin Alander. Insieme hanno rivisitato una serie di antichissimi canti religiosi restituendoli ad un pubblico stupefatto che allo stesso tempo li riconosceva e li ascoltava abilmente trasformati. Si è trattato di una trasformazione tenue, ma implacabile, molto accorta riguardo agli stilemi atavici di questi canti eppure piena di modernità.

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