CULTURE

Un tuffo nella vita dei segni alla ricerca dell’incanto perduto

«PRIMA LEZIONE DI SEMIOTICA» DI GIANFRANCO MARRONE, PER LATERZA
TIZIANA MIGLIOREITALIA

Si può assaporare l’incanto? O qualsiasi «piccola felicità» dura il tempo dell’ammutolire e svanisce quando tentiamo di dire l’ineffabile? È la domanda che nasce dal libro di Gianfranco Marrone Prima lezione di semiotica (Laterza, pp. 182, euro 13).
SE L’OBIETTIVO è spiegare a un lettore curioso non informato che cosa sia la semiotica, Prima lezione, di insuperabile chiarezza, lo raggiunge. Mostra il volto maturo del progetto di Saussure, la concezione di una «scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale». I viventi hanno bisogno di un campo interdisciplinare per descrivere i funzionamenti dei loro dinamici segni. Ecco la semiotica, per cui i processi sociali sono segni. Tracce, simboli, indici, marchi, insegne permeano l’esperienza comune e attivano meccanismi di azione e di reazione ovvi e insieme complessi. Così, d’estate, si parte alla volta della spiaggia dei sogni. La riconosciamo – «isolata ma fatalmente di massa»! – da indizi sparsi sulla litoranea, secondo regole condivise che collegano la percezione di chioschi con panini e bibite, di bazar con ombrelloni e sdraio, di auto mal parcheggiate, con l’individuazione di viottoli. La quotidianità è zeppa di significazione, il senso «sgattaiola» nelle cose più banali, ordinarie solo in apparenza. Compito della semiotica è indagare questo «liquido amniotico» in cui vive il soggetto sociale, mostrando che non sono i fenomeni in sé a essere significanti, ma che è sempre uno sguardo ad associarli a precisi significati. A dispetto di una tradizione millenaria che ha separato sensi e intelletto, i segni provano come mettiamo in relazione espressioni e contenuti, sulla base di consuetudini culturali e sulla spinta di valori, di gusti e disgusti.
PUBBLICATO NELLA SERIE di Laterza «Prime lezioni», questo libro di iniziazione non fa la storia della semiotica, ma ne offre una genealogia. Marrone dipana le fila della rete di concetti che si è sviluppata, sempre più fitta man mano che il lavoro è andato avanti. Coglie le «visioni strutturaliste» di Saussure, Hjelmslev e Barthes, intendendo lo strutturalismo come un’attività, tuttora praticabile, di esplorazione delle logiche relazionali sottese al senso.
In Barthes, Eco, Fabbri, le procedure di conoscenza proposte non sono esercizi di stile; servono a leggere gli usi e gli abusi del senso, le maniere in cui media e gruppi di potere veicolano come naturale quel che più è costruito e artificiale. Anche le ironiche riflessioni di Marrone sul «biologico» oggi, sull’arte della naturalizzazione in vari ambiti, dall’alimentazione alla zoologia alla neuroestetica, continuano questa «guerriglia semiologica»: forniscono strumenti per comprendere le differenze fra apparire ed essere.
IL LIBRO È RICCO di esempi. Se una striscia dei Peanuts condensa la teoria della narratività, cioè l’idea semiotica che ogni processo di senso è un racconto – concatenazione di azioni e passioni per la trasformazione di valori – da cui la strategia dello storytelling, virale oggi in politica e nel marketing aziendale, il quadro di Magritte La trahison des images (1928-29) illustra il concetto di «interpretazione». Marrone ragiona sugli aspetti che stimolano letture molteplici: la cornice, il ceci e il n’est pas della scritta Ceci n’est pas une pipe, paradossale rispetto al ruolo esplicativo di una didascalia, la pittoricità della scritta, che contrasta con la legenda dell’opera al museo. Sono catene di interpretanti, cioè traduzioni della scrittura nella pittura, della figuratività con codici culturali incorporati, a far vedere il «tradimento delle immagini».
CON TUTTO QUESTO analizzare e spiegare, però, che fine fa il sorprendersi di fronte alle cose? Per molti la semiotica è una rinuncia all’incanto. Ma gli scarti percettivi, le discontinuità visive, acustiche, olfattive, che emergono di tanto in tanto, ci ammaliano proprio perché segnano qualcosa di sensato per noi. Andare in cerca delle loro determinazioni è l’unico modo che abbiamo per accrescere l’incanto.

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