INTERNAZIONALE

CARACAS, IL RUMORE SORDO DELLA POVERTÀ

FEDERICA IEZZIvenezuela/caracas

«Qua la guerriglia si sposta di città in città ma non finisce mai». Sono le crude parole di Franco. Ha solo sette anni. L’abbiamo incontrato da solo nelle strade tutte uguali di Caracas, con una busta di verdura in mano. Suo padre faceva parte della schiera di quelli che chiamavano «ribelli». Ma poi chi sono i «ribelli» agli occhi dei bambini? Le turbolenze economiche e politiche spediscono regolarmente migliaia di persone nelle strade per protestare, a favore o contro il governo del presidente Nicolas Maduro.
E LONTANO DALLE STRADE, la nuova normalità per i venezuelani è diventata lotta quotidiana. Lottano per sopravvivere a fronte di gravi carenze di cibo, medicine, acqua. Da mesi manca la farina. Centinaia di forni industriali sono in silenzio, manca il lavoro che c’era dietro la preparazione del pane.
E negli scaffali delle farmacie non c’è nemmeno l’aspirina: se sei così fortunato da trovarla, il prezzo per poterla comprare è ingiustificabilmente fuori misura. Il tutto è stato sapientemente stabilito da un duro embargo che coinvolge le più grandi compagnie multinazionali di farmaci e vaccini. E su chi hanno effetto certe scelte? Sui bambini con la febbre che i genitori non possono curare, per esempio.
I pochi ristoranti rimasti chiudono le porte prima di sera a causa dell’aumentata paura della violenza. Hanno acqua corrente solo il lunedì e il martedì, il resto della settimana si vive grazie a un serbatoio.
E BISOGNA SPERARE che non si rompa nulla dei macchinari usati in cucina, perché ottenere pezzi di ricambio diventa un incubo, si possono arrivare a investire fino a due mesi di stipendio per l’acquisto di un pezzo rotto. Con un’economia in declino, la gente è tornata a scambiarsi i materiali. Si scambia farina di mais con le uova. I barbieri fuori città tagliano i capelli per yucca, banane o carne di scarto. I proprietari dei ristoranti offrono un piatto caldo in cambio di pacchetti di tovaglioli di carta.
IL SALARIO MEDIO MENSILE del Paese è di 1.300.000 bolívar, circa 6 euro sul mercato nero, cifra sufficiente per acquistare due cartoni di uova, un chilo di farina di mais e una scatola di pasta, due litri di latte, tonno e pane. Mentre l’iperinflazione continua a salire a livelli esorbitanti, i soldi perdono sempre più valore.
«El dinero no alcanza para nada» («I soldi non sono sufficienti per comprare nulla» nda ), ci dice la gente che incontriamo ogni giorno nelle perenni file sulle strade. Anche quando il cibo è disponibile nei negozi, lo stipendio medio non è sufficiente per sfamare una famiglia. «Non sappiamo se ci possiamo permettere di comprare da mangiare la prossima settimana»: questa è una delle preoccupazioni più comuni all’interno delle case.
Lo spirito della revolución bolivariana contro i grandi proprietari terrieri, i vecchi latifondisti, la borghesia compradora, i militari golpisti e a favore di contadini, operai, senza terra e indigeni, si è affidata totalmente alle entrate petrolifere. Questo è stato sufficiente per finanziare i nobili programmi di alfabetizzazione, gli investimenti per garanzie sociali, la lotta anticolonialista. Ma quando il prezzo del petrolio è crollato nel 2014, il governo ha tagliato le importazioni e utilizzato le sue piccole riserve per pagare il suo debito estero ed evitare il default. Questo si è trasformato nella crisi di oggi.
IL BLOCCO ECONOMICO illegali guidato dagli Usa, le sanzioni illecite di Stati uniti, Ue e governi golpisti dell’America latina hanno fatto il resto. Tentativi di corruzione, boicottaggi economici e finanziari, embarghi, finanziamento di oppositori politici, controllo dei mass media locali, militarizzazione di gruppi radicali. È una storia già vista in America latina che crudelmente si ripete oggi ai danni del governo Maduro. Al mercato nero il prezzo di un dollaro si aggira intorno a 200.000 bolívar. Lo stipendio medio settimanale è di 250.000 bolívar. Una saponetta costa 200.000 bolívar, quindi spesso bisogna scegliere se mangiare o lavarsi adeguatamente. Una scatola di antibiotico, quando lo trovi, può costare più dell’intero stipendio mensile’ ci dice Linda.
Visto che anche i contanti sono scarsi, non è raro trovare lunghe code di persone in tutta la città in attesa di prelevare denaro. In media, gli sportelli automatici consentono il ritiro di soli 10.000 bolívar al giorno (5 centesimi di dollaro).
«SE SI GUARDA DALL’ALTO la città, sembriamo tutti piccole formiche che corrono impazzite da una parte all’altra. La sensazione è quella di vivere in una prigione. La libertà non fa più parte delle nostre vite», continua Linda. «Senza essere prigionieri, non abbiamo la libertà di muoverci. Non siamo liberi di consumare ciò che vogliamo, ma ciò che gli altri scelgono per noi». Gli effetti della crisi capitalista e della recessione economica hanno avuto un impatto sull’economia globale di ciascun Paese, siano essi colonialisti o territori dipendenti. Gli effetti sono diversi in quanto i primi hanno il controllo diretto su ogni settore dell’economia, mentre i secondi sono subordinati alle decisioni delle grandi potenze.
IL VENEZUELA NON È SFUGGITO a questa realtà. Ci sono molte parole per descrivere cosa sta succedendo nel Paese: crisi, implosione, caduta. C’è l’inflazione alle stelle, la mancanza di generi alimentari e medicine di base, la crisi della sanità pubblica. C’è la crisi energetica, con ostinati black-out e carenza d’acqua. C’è violenza diffusa. Certamente, la situazione in Venezuela è complessa. Complessa come la realtà in ogni Paese che si sta avvicinando a una rottura definitiva con la sua realtà.
IL SABOTAGGIO della produzione, il blocco internazionale e il boicottaggio economico si esprimono in molteplici forme, tra cui la fuga di commercianti nei Paesi limitrofi, il deflusso di capitali e di forza lavoro, con un conseguente impatto diretto su economia locale e condizioni di vita della popolazione. «La prassi è questa. Dall’alba mi metto in fila fuori dal negozio di alimentari più vicino a casa. Dopo molte ore viene scannerizzata la mia impronta digitale e il sofisticato database governativo recupera le mie informazioni personali. Questo dirà alla cassiera non solo il mio indirizzo, il mio nome completo e il mio numero di telefono, ma anche se ho già comprato la razione di cibo assegnata alla mia famiglia in quel mese», ci racconta Adelita.
Se è così, Adelita verrà rimandata a casa a mani vuote. Ci sono droni che sorvolano la fila che si estende per svariati isolati nelle strade e nessuno ne conosce lo scopo.

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