VISIONI

Natalie Dormer, un progetto al femminile fra le suggestioni di «Picnic a Hanging Rock»

L’ATTRICE RACCONTA LA NUOVA SERIE TV AUSTRALIANA
LUCA CELADAusa/los angeles

Picnic a Hanging Rock (1975) è uno di quei film entrati nel lessico come oggetto culturale in qualche modo fondamentale. La storia delle compagne di collegio misteriosamente scomparse durante una scampagnata nell’entroterra australiano il giorno di San Valentino del 1900, era adattata dal romanzo pubblicato qualche anno prima da Joan Lindsay e considerato fra le migliori opere narrative australiane.
Nella trama gli effetti del mistero mai risolto si propagano nel collegio, fra le educande iniziate al galateo vittoriano dalla severa preside Mrs. Appleyard. Il ritrovamento di una delle giovani, sfinita e amnesica, non fa che approfondire il senso di mistero che incombe sulla storia del libro e del film di Peter Weir. La narrativa è suffusa di disagio adolescenziale femminile, sessualità represse e il contrasto fra la costrizione vittoriana e la minaccia «animista» dell’insondabile natura australiana.
Ora la storia viene riproposta per la tv dall’australiana Foxtel Showcase - in Italia è appena andata in onda su Sky Atlantic ed è disponibile su Sky Box - come serie in cui il ruolo della direttrice dell’istituto viene affidato a Natalie Dormer e le collegiali sono interpretate da una nuova generazione di attrici australiane. Anche dietro la cinepresa il progetto è a conduzione quasi interamente femminile, dalle sceneggiatrici – Beatrix Christian e Alice Addison - alla showrunner Larysa Kondracki e la regista Amanda Brotchie che rivisitano fedelmente i punti chiave della storia scavando più profondamente però nella «retrostoria» della direttrice del collegio. In questa versione compaiono dettagli di un passato torbido da cui la signora Appleyard si scopre in fuga , riempiendo così alcune delle lacune lasciate di proposito indefinite da Lindsay nel romanzo originale, come spiega Dormer che abbiamo incontrato a Los Angeles: «Avevamo già iniziato le riprese senza avere del tutto definito ogni dettaglio della storia. Si sono chiariti strada facendo. Trovo che se si lascia abbastanza respiro a una sceneggiatura, l’immaginazione del pubblico può colmare da sé eventuali lacune».
Cosa l’ha convinta a partecipare al progetto?
Bea Christian (sceneggiatrice, ndr) è stata molto perspicace nell’ispirarsi al denso sottotesto che esiste nel romanzo di Lindsay. Lei spesso si era limitata ad accennare in termini generali le psicologie dei personaggi e le loro storie. Il bello di avere a disposizione sei ore è che permette di esplicitare molti di quegli elementi, le diverse personalità e le dinamiche fra di esse. Bea ha sviluppato molti accenni che sulla pagina erano rimasti tali, lavorando però sempre nello spirito originale di Lindsay.
Per esempio?
Il mio personaggio, Hester Appleyard. Il romanzo suggerisce che lei non sia esattamente chi afferma di essere, né rivela l’identità del misterioso ex marito di cui parla. Nella nostra versione scopriamo che viene da Londra, dove ha subito gravi traumi che cerca di compensare tentando di imporre severamente le convenzioni vittoriane sulle sue studentesse. Ma è già un anacronismo, siamo all’inizio del nuovo secolo e le giovani pensano ad un futuro diverso. È in parte la storia di una generazione che cerca di imporre i propri valori a quella successiva. E poi la questione della sessualità e come viene affrontata dai vari personaggi, nel romanzo era sullo sfondo, Bea l’ha resa più esplicita.
Un’ esperienza positiva insomma?
Ho avuto da subito l’impressione che si trattasse di qualcosa di più del solito sceneggiato d’epoca, di un prodotto di un gruppo di donne con una visione precisa. E poi non ero mai stata in Australia e mi incuriosiva far parte di un progetto televisivo di alta qualità.

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