COMMENTO

Una normale strage americana

Las Vegas - Las Vegas
FABRIZIO TONELLOusa/las Vegas

Stavolta non si trattava di fanatici delle armi, come Adam Lanza, il responsabile del massacro nella scuola elementare di Sandy Hook, in Connecticut, nel 2012 e Dylann Roof, l’autore della strage in una chiesa di Charleston nel 2015. Non c’entra la paranoia di due studenti mentalmente disturbati, come accadde a Columbine, nel 1999. E, nonostante la rivendicazione, neppure si può dare la colpa allo Stato Islamico.  O alle guerre in medio oriente, come nel caso di San Bernardino nel 2015 e di Orlando nel 2016. No, domenica a Las Vegas l’autore della strage è un pensionato, per di più milionario, due categorie finora mai incontrate nel quadro degli atti di terrorismo. 

Stephen Paddock, 64 anni, era un giocatore, apparentemente fortunato, che passava gran parte del suo tempo a Las Vegas al casinò, oppure partecipava ai tornei di poker on line da casa sua, in un quartiere residenziale di Mesquite, sempre in Nevada. Della sua vita lavorativa si sa solo che era finita molti anni fa, da decenni si occupava solo delle sue proprietà immobiliari. Al contrario di altri terroristi americani non era un cacciatore, non aveva una passione per le armi da fuoco, non era un reduce dal servizio militare. Paddock non era un emarginato o un lupo solitario: aveva due fratelli, una madre ancora viva con la quale era in contatto, una compagna che al momento della sparatoria era all’estero. Non aveva mai dato segni di squilibrio mentale o manifestato desideri di vendetta, non era in contatto con gruppi criminali o neonazisti.
No, Stephen Paddock era un normale americano agiato, di quelli che fanno le crociere nei Caraibi o nel Mediterraneo, vengono in Italia per vedere Firenze, affollano i parchi di Yellowstone e Yosemite e, naturalmente, vanno a Las Vegas per provare il brivido del gioco d’azzardo. Paddock, dopo aver fatto tutte queste cose, ha deciso di farne un’altra più emozionante e spettacolare: sparare sulla folla di un concerto. Ha affittato una suite al 32° piano in un albergo che dominava l’area del festival, l’ha riempita di armi semiautomatiche, ha sfondato i vetri delle finestre e ha iniziato la strage, che avrebbe potuto essere anche peggiore di quello che è stata, come testimonia l’incredibile numero di feriti, 527, che si aggiungono ai 59 morti confermati.
Com’era prevedibile, il presidente Donald Trump e i repubblicani si sono limitati a frasi di circostanza, deputati e senatori rimangono ostaggi della potente National Rifle Association, che con i suoi 5 milioni di iscritti costituisce uno dei pilastri del blocco di potere oggi dominante. La Nra, nata come club di appassionati di tiro a segno a fine ’800, ha cambiato pelle nella seconda metà degli anni ’70, riuscendo a imporre un allargamento progressivo del diritto di portare armi, fino a ottenere una storica vittoria nel 2008 con una sentenza della Corte suprema che sostanzialmente apriva la via a una deregolamentazione totale.
Secondo la maggioranza dei giudici quello di armarsi è un diritto individuale di ogni cittadino americano, legato all’autodifesa. Naturalmente, i cinque giudici repubblicani non affrontarono il problema della difesa dei normali cittadini da chi volesse acquistare armi da guerra (Paddock aveva 23 armi da fuoco nella sua stanza, tra i quali vari AR-15, i fucili d’assalto in dotazione alle forze armate). Il fatto che le stragi sostanzialmente immotivate siano diventate, insieme agli omicidi, il problema di salute pubblica n. 1 negli Stati uniti è evidente ma il sistema politico sembra totalmente incapace di affrontarlo. Neppure proposte parziali e modeste, come vietare l’acquisto di armi ai potenziali terroristi o alle persone mentalmente instabili, sono state approvate negli ultimi anni, nonostante un’escalation di violenza impensabile in qualsiasi altro paese. Nel 2014 c’erano stati 12.571 omicidi con armi da fuoco, nel 2015 13.500, nel 2016 il totale è balzato a oltre 15.000. A questi, occorre aggiungere i circa 22.000 suicidi l’anno, sempre con armi da fuoco.
Per avere un’idea migliore di cosa significhino queste cifre basterà ricordare che gli Stati Uniti hanno un tasso di omicidi per 100.000 abitanti che è circa 4 mentre in tutti i paesi europei tranne l’Ungheria questo tasso è inferiore a 2, e nei paesi industrializzati come Germania, Francia, e Gran Bretagna è inferiore a 1. L’Italia, nonostante mafia e camorra, ha circa 450 omicidi l’anno, cioè un tasso di 0,81 ogni 100.000 abitanti. In Giappone, il tasso è 0,3, cioè ci sono meno di 400 omicidi l’anno nonostante sia un paese di 120 milioni di abitanti.
Ci sono speranze per gli Stati uniti? Nonostante il dibattito sulle armi da fuoco venga riaperto a ogni nuova strage, l’emozione sembra durare pochi giorni e, soprattutto, non scalfisce l’indifferenza del sistema politico. In otto anni di presidenza neppure Barack Obama riuscì a far approvare un qualsiasi modesto provvedimento utile a limitare i danni. Dopo Las Vegas non c’è che da aspettare il prossimo massacro.

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