VISIONI

Il fantasma tormentato della «Nonne Sanglante»

L’OPERA DI GOUNOD SULLE SCENE PARIGINE
ANDREA PENNAFRANCIA/PARIGI

Da Prokof’ev a Hindemith a Penderecki il 900 operistico è tutto un agitarsi di monache indemoniate, espressionistico contraltare alle pie martiri di Poulenc; del resto prima del macigno Sister Act succedeva anche al cinema, da Buñuel a Ken Russell passando per un’intera stagione di film italiani.
Una fascinazione che risale all’epoca romantica, come dimostra anche il felicissimo recupero parigino del grand-opéra La Nonne Sanglante (La monaca insanguinata) di Charles Gounod all’Opéra Comique di Parigi. Scritta nel 1854 da un compositore in piena ascesa, l’opera racconta del fantasma tormentato di una monaca assassinata che perturba la già contrastata vicenda amorosa dei figli di due famiglie medievali in guerra fra loro: solo con la morte del suo ignoto assassino la monaca vendicata troverà e restituirà pace. Il libretto di Scribe, che aveva incuriosito anche Berlioz e Verdi, si ispira al romanzo gotico The Monk di Matthew Lewis (1796).
LA SUBITANEA fortuna della Nonne fu interrotta dal cambio di gestione dell’Opéra e la partitura finì in un cassetto dimenticata: un peccato perché offre una sintesi originale di soluzioni stilistico-musicali che spaziano dal fantastico-demoniaco di Weber (le scene di apparizione e sogno) al Verdi crociato della Jérusalem, innestando alcune novità di impronta wagneriana sul tracciato della tradizione di Rossini e Meyerbeer. Conteso fra l’amata Agnès (una passionale Vannina Santoni) e il fantasma inquieto della Nonne Sanglante, che poi porta lo stesso nome (Marione Lebègue, autorità vocale e presenza spaventosissima), il tenore è il vero protagonista dell’opera, con una sbalorditiva sfilza di arie, chansons, scene, duetti, aubades. Michael Spyres, con la sua estesa vocalità di baritenore, rende giustizia al personaggio di Rodolphe, superando con classe le impressionanti difficoltà canore e impegnandosi ad ottenere una buona credibilità scenica. Fra gli altri spicca Jodie Davos come Paggio Arthur, perfetta in abito da monello chapliniano.
LA REGIA di David Bobée risolve con luci, proiezioni e scene quasi fisse le trappole di un grand-opéra che pretenderebbe un gigantesco macchinario scenografico, calando la vicenda in un buio medioevo con quel tocco di postatomico oggi praticamente inevitabile: una trovata la citazione degli oranti di Claus Sluter nel coro delle apparizioni, sciupata invece la breve occasione delle danze, peraltro tagliate. Laurence Equilbey guida la Insula Orchestra e il coro Accentus con passione, equilibrio e inquadramento stilistico appropriato. Pubblico entusiasta, con applausi a scena aperta e tante chiamate. L’opera, in scena fino al 14 giugno, è stata coprodotta dal Festival della fondazione Palazzetto Bru-Zane, che, nel bicentenario della nascita del compositore, ha incluso Gounod nella maratona del quartetto francese – sei ore di concerti – a Bouffes du Nord e ha proposto un concerto di sue musiche sacre. Non solo, il 14 giugno presenta in concerto al Théâtre des Champs-Élysées un inedito assoluto, la prima versione del Faust, con strumenti originali e Christophe Rousset sul podio.

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