VISIONI

Zidane e quei geniali colpi di testa

A sorpresa il ct del Real Madrid lascia il team spagnolo dopo tre Champions consecutive
LUCA PISAPIAspagna/madrid

Pensiamo di sapere tutto di lui, eppure non sappiamo nulla. Le diciassette telecamere lo seguono per tutti i novanta minuti della partita, lo vediamo camminare, correre, sudare, accarezzare il pallone, una, due volte, portarlo a spasso, fermarsi con le mani sui fianchi, fare dribbling, servire assist. Lo osserviamo in una specie di totalizzante soggettiva esterna. Vediamo tutto di lui ma non possiamo sapere lui cosa vede, cosa pensa. E non lo sappiamo nemmeno oggi quando, cinque giorni dopo aver vinto la terza Champions League consecutiva alla guida del Real Madrid, improvvisamente annuncia l’addio. «È il momento di cambiare Non è una decisione presa al volo, è stata meditata e per me è la cosa giusta Dopo tre anni il Madrid per continuare a vincere ha bisogno di un cambio, di un’altra metodologia di lavoro, di un altro discorso», ha detto in un’inattesa conferenza stampa che subito ha fatto il giro del mondo. Un fulmine a ciel sereno. Nessuno se l’aspettava, perché nessuno ha mai saputo nulla di lui. […]
Zidane, un ritratto del XXI secolo, il documentario con le telecamere che lo seguono per i novanta minuti di una partita del 2005 giocata con la maglia del Real, ce lo ha raccontato in maniera incontrovertibile. Tutti sanno chi è. Tutti conoscono Zidane e le sue origini algerine, rivendicate con orgoglio, i primi calci nel Cannes, il decollo a Bordeaux, gli anni vincenti con Juventus e Real Madrid, racchiusi tra la Coppa del Mondo vinta nel 1998 e quella persa nel 2006. Entrambe decise dai suoi «colpi di testa». Tutti conoscono Zidane allenatore della squadra più forte e famosa al mondo, arrivato tra molto scetticismo e partito dopo avere vinto quasi tutto, nove trofei sui tredici a disposizione. Ma nessuno conosce davvero Zidane. È il Grande Gatsby del pallone. E allora nessuno saprà mai i motivi dell’addio. Anche se molti commentatori sottolineano i difficili equilibri politici che da sempre regnano nel club, mentre altri ricordano la frase di addio di Cristiano Ronaldo, pronunciata nemmeno cinque minuti dopo aver battuto il Liverpool. Anche se Zidane in realtà le spiega, queste ragioni, e sono di una semplicità disarmante. «Sento che sarà difficile continuare a trionfare, e siccome sono un vincente me ne vado», ha detto, abbandonando il Real dopo la terza notte di nozze, davanti a giocatori e dirigenti increduli.
E A UN PRESIDENTE impietrito, che ora aspetta l’arrivo di Pochettino dal Tottenham. Molti allenatori hanno lasciato all’apice del successo, da ultimo Guardiola che ha abbandonato il Barça dopo quattordici trofei. Ma nessuno aveva mai raggiunto un tale apice. Nessuno aveva mai vinto tre Champions di fila. Per questo suona ancora più assurdo, e meraviglioso, che lui dica di lasciare perché è un vincente, lasciando intendere che vuole fare ancora meglio. Dove e quando non lo sa nessuno. Forse questa volta nemmeno lui. Questo uomo imperscrutabile che ha segnato il XXI secolo, questo personaggio di cui tutti parlano, scrivono, ammirano le meraviglie, ma di cui nessuno saprà mai nulla.

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