COMMENTO

L’etica separata dalla politica sale al Quirinale

Berlusconi
PAOLO FAVILLIitalia/roma

«Lui verrà con me, (…) Lo porto via, come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta». Sandro Pertini trasporta la salma di Berlinguer sull’aereo presidenziale diretto a Roma.
In questi giorni Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, riceve al Quirinale, con gli onori previsti dal cerimoniale, un uomo che i tribunali della Repubblica hanno condannato per reato infamante, hanno descritto come avente «naturale capacità di delinquere», «ideatore» e «beneficiario» di sistemi fraudolenti, un uomo che un tribunale della Repubblica ritiene «abbia agito con assoluta coscienza e volontà di corrompere un senatore della Repubblica».
Non so se il ricevimento del «delinquente naturale» sia una forma costituzionalmente obbligata oppure semplicemente una prassi consolidata, sono sicuro però che il Presidente Pertini avrebbe trovato il modo di lanciare un messaggio per segnalare il grado raggiunto dalla decomposizione della politica in Italia. Della politica, non dell’etica separata dalla politica.
Nelle parole di Pertini di fronte al feretro di Enrico Berlinguer si percepisce certamente l’affetto provato dal Presidente nei confronti del segretario del Pci, «amico fraterno», «figlio», ma l’elemento centrale della comunanza è rappresentato dal suo essere stato «compagno di lotta». Compagni di lotta politica accomunati dalla stessa concezione della politica. Una concezione dove politica ed etica sono consustanziali perché indistinguibili nel processo di ricerca teorica, di organizzazione e pratica associativa tesa all’emancipazione dei subalterni. «Emancipazione» e non semplicemente miglioramento delle condizioni di vita, che pure, in molte circostanze, è a sua volta un obbiettivo rivoluzionario
La tensione politica verso l’emancipazione non può prescindere da una dimensione antropologica, ovviamente di antropologia culturale. Il progetto dell’emancipazione consiste nel coltivare e promuovere le forme politiche, economiche e sociali nell’ambito delle quali sia possibile lo «sviluppo progressivo» di tutto ciò che c’è di «umano nell’uomo» (Vasilij Grossman). 
La riforma intellettuale e morale di Gramsci, il modo gobettiano di pensare e praticare il rapporto tra etica e politica, s’inscrivono perfettamente in tale orizzonte. Non a caso comunisti ed azionisti sono stati gli anticorpi più efficaci nella storia italiana del Novecento nel contrastare la formazione di un ambiente nel quale fenomeni come quelli connaturati al «delinquente naturale» fossero considerati patologie e non fisiologie del sistema.
Logicamente la mercantilizzazione di ogni aspetto della vita umana, cioè la realtà del nostro presente, è l’esatto contrario di un clima favorevole allo sviluppo di ciò che c’è di «umano nell’uomo». È invece humus fondamentale dell’ambiente in cui la figura del «delinquente naturale» può prosperare. Proprio per questo la commistione tra politica, affari e malaffare è fenomeno in crescita anche in tutte quelle che chiamiamo democrazie liberali. Solo in Italia, però, la delinquenza, quando è dichiarata tale da sentenze definitive, può avere ancora ruolo politico di primo piano.
Il recupero della indispensabile intransigenza, di una efficace fermezza di fronte a tali tendenze degenerative, passa solo per la ricostruzione della politica che è aspetto essenziale di quella ricostruzione della sinistra in cui ci sentiamo impegnati. Gridare «onestà! onestà!» è pura espressione vocale, invocazione senza radici. A chi ne ha fatto la propria cifra politica può succedere oggi di votare una procuratrice delle ragioni del «delinquente naturale» alla presidenza del Senato. E magari domani trovarsi altri suoi figuranti nel governo degli onesti.

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