CULTURA

The Donald, un adolescente umorale e narcisista

«FUOCO E FURIA» DI MICHAEL WOLFF, PER RIZZOLI
GUIDO CALDIRONUSA

Quasi invisibile ma pressoché onnipresente, un po’ come «una mosca sulla parete», in grado di captare ogni voce, ogni discorso privato, perfino le confessioni più intime che nessuno si sognerebbe di evocare in pubblico.
MALGRADO Michael Wolff ami descrivere l’inchiesta che ha realizzato «dentro» la Casa Bianca come una via di mezzo tra una spy-story e una raccolta di aneddoti gustosi al limite del gossip, il significato principale, e più profondo, del suo Fuoco e furia (Rizzoli, pp. 376, euro 22) - un bestseller internazionale con due milioni di copie già vendute negli Stati Uniti e traduzioni in corso in una trentina di paesi -, più che nelle «rivelazioni scottanti» che contiene va ricercato nella capacità di definire l’antropologia del nuovo potere statunitense, il suo volto più sincero e, per questo, ancor più inquietante.
Descritto dal New York Times come «un piranha di prima scelta del mare mediatico di Manhattan», Wolff si è imposto fin dalla fine degli anni Novanta per le sue cronache sarcastiche e semi-mondane che hanno spesso riguardato figure di «potenti». Nel 2008 aveva anche firmato una biografia di Rupert Murdoch, The Man Who Owns the News, non troppo apprezzata dal magnate dei media conservatori. I primi contatti con The Donald risalgono proprio a quell’epoca, e a un ritratto piuttosto empatico del futuro presidente firmato da Wolff sul New York Magazine. «Dopo la sua elezione, gli ho telefonato per chiedergli di incontralo e di accedere al palazzo. Sulle prime Trump ha pensato che gli stessi chiedendo un lavoro. Poi, si è tranquillizzato e mi ha dato il via libera», ricorda ora Wolff.
È COSÌ CHE NEI PRIMI 100 giorni seguiti all’elezione del nuovo presidente, Wolff ha frequentato il West Wing della Casa Bianca, intrattenendosi non solo con personaggi del calibro di Steve Bannon, l’ideologo della nuova destra ispiratore della campagna e della «linea» di Trump, ma anche con molte altre figure meno note ma altrettanto ben informate.
Se il palazzinaro Trump aveva apprezzato la prosa di Wolff, il presidente Trump non ha però reagito allo stesso modo al volume del giornalista, di cui ha cercato addirittura di impedire la pubblicazione. Questo non solo perché a prima vista il ritratto del «commander in chief» che esce da queste pagine è quello di un adolescente umorale, narcisista e tendenzialmente inetto, ma soprattutto perché, come anticipato da mesi dai maggiori media internazionali, emergono nel testo anche tutte le magagne, divisioni e derive che contraddistinguono l’attuale amministrazione.
Il conflitto tra la nuova destra già incarnata da Bannon e il conservatorismo più liberal dalla coppia Ivanka Trump e Jared Kushner, i contatti di Donald Trump Jr., il figlio del presidente, con i russi, prossimi a finire nel mirino dell’inchiesta sul Russiagate, fino alla constatazione che l’équipe del candidato repubblicano nel 2016 voleva sfruttare le elezioni a fini commerciali per il «brand Trump» più che puntare alla vittoria.
QUELLO CHE TRUMP non sembra aver colto è che malgrado il suo gusto per le indiscrezioni, talvolta evidentemente «pericolose», Michael Wolff finisce per restituire attraverso il ritratto impietoso del presidente anche alcune delle possibili ragioni della sua affermazione e, in qualche misura almeno, il profilo stesso della nuova destra post-liberale che guida oggi gli Stati Uniti.
Trump che scandisce le sue giornate a suon di tweets al vetriolo, che costruisce una sorta di contro-narrazione a base di fake-news e di proclami della Alt-Right per contrastare «il complotto» dei media progressisti, che vuole disertare la Casa Bianca, considerata «una topaia» rispetto alla torre che porta il suo nome nel centro di Manhattan, che condivide gli appelli razziali ed economici di un nativismo di ritorno che si va radicando non «contro» ma «dentro» il cuore della globalizzazione, insomma il Trump allergico allo stile presidenziale, arrogante e strafottente, campione del successo e dell’affermazione personale ad ogni costo, protagonista costante di una soap dove riecheggiano i gusti e i miti dei piccoli bianchi e della provincia hillbilly, non è forse il prototipo dell’eroe populista in cui milioni di americani si sono identificati al momento del voto?
Il Fuoco e la furia che ha portato dentro la Casa Bianca non avevano, da questo punto di vista, già cominciato a divampare in tutto il paese? In fondo, lo stesso Michael Wolff, pur senza ammetterlo esplicitamente, ne sembra convinto. «I giornalisti politici di Washington - ha replicato a chi lo criticava per lo stile sornione e un tantino scandalistico del suo libro -, hanno pensato che questa storia appartenesse loro, ma quella di Donald Trump è la storia della nostra epoca. Non appartiene a nessuno e potrà essere raccontata in molti modi diversi. Io ho solo proposto la mia».

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