FOGLIETTONE

Se nei tribunali il tempo non passa mai

Violenza sessuale
ALESSANDRA PIGLIARUITALIA/FIRENZE/usa

«Lei non dice che le hanno fatto violenza e non può dirlo, perché non ci sono i segni». «Perché dobbiamo privarci di scoprire la verità, la ragazza muore dalla voglia di dire la verità...» Seppure, per coerenza argomentativa, siano considerazioni collocabili nel ragionamento di una stessa persona, tra la prima e la seconda a trascorrere sono circa 40 anni. Era infatti il 1979 quando il documentario Processo per stupro veniva trasmesso dalla Rai, mostrando a milioni di telespettatori cosa può accadere quando si parla di violenza maschile contro le donne; per esempio che, in un'aula di giustizia, da parte lesa si passi a essere considerate imputate. Allora a essere torchiata e dileggiata era stata una ragazza di 18 anni, stuprata da 4 quarantenni. I contenuti sono diversi ma i modi gli stessi anche oggi, nelle 12 ore di udienza al tribunale di Firenze in cui a essere sottoposte a 250 domande ciascuna (poi diminuite dal giudice che ha arginato il confronto) sono state due ragazze americane di 20 e 21 anni che hanno denunciato la violenza sessuale subita da due carabinieri. In entrambi i casi a inficiare i fatti, con supposizioni di livello infimo, gli avvocati difensori degli accusati. Nell'episodio di Firenze la sintesi dell'interrogatorio ci rende edotti che, nonostante sia finito il tempo della sottomissione e trovandoci nel pieno della libertà femminile, si cercano sempre tutti i modi possibili per fare fuori la parola delle donne: «Lei trova affascinanti, sexy gli uomini che indossano una divisa?», oppure «Lei indossava solo i pantaloni quella sera? Aveva la biancheria intima?». È un metodo teso al discredito che chiede di spiegare perché quell’originaria sopraffazione di un sesso su un altro che è lo stupro si sia potuto manifestare. Si va a domandarlo a chi dice di averlo subito, come nei peggiori teatri del disagio patriarcale.

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