Ci vorrà molto tempo prima che si capisca quanto stavano facendo i militari argentini, perché in un sistema mediatico, iconografico o televisivo, si dà per scontato che tutto ciò che accade viene rappresentato e che ciò che non viene rappresentato non accade. I morti non si vedevano e quindi non esistevano. (...).
Di fronte al serpeggiare di un pericolo che può colpire tutti, la solidarietà viene meno. La società si sgretola, frantuma, atomizza. Nell’ostilità generale, bollate perfino come pazze, le madri troveranno la forza per scendere in piazza (...). Sono, le madri, la nuova Antigone collettiva che l’arroganza del potere fa emergere dall’indifferenza del coro, impegnate ciascuna di loro per tutti i giovani desaparecidos in quella che finisce per diventare una linea politica avente come pilastri della vita sociale memoria, verità e giustizia (...).
LA VERITÀ DI QUANTO portato a termine dai militari argentini, con il silenzio complice degli Stati, verrà a galla dopo la caduta della dittatura. La giovane democrazia argentina, insieme al governo francese, proporrà in sede Onu quella che poi diventerà la Convenzione internazionale contro la scomparsa forzata delle persone. Ma pur messa al bando, la desaparición continuerà a riaffiorare dove e quando chi detiene il potere ritiene esservi le condizioni propizie.
PUR TRALASCIANDO le vere e proprie zone di guerra, come quella che è stata per anni la Colombia ed è oggi la Siria, si ha notizia di casi di desaparición a Hong Kong e in Cina, in Cecenia, Turchia e in Egitto, dove quella sarebbe stata la sorte riservata al giovane ricercatore Giulio Regeni, se non vi fosse stato un intervento tempestivo, anche se purtroppo tardivo, da parte del governo italiano. E il Messico è caso emblematico (...) in cui la tragedia argentina sembra riproporsi al giorno d’oggi, in una commistione tra malavita organizzata e forze facenti capo allo Stato, come ci ricorda la tragedia del figlio di Yolanda Moran , desaparecido nel 2008, e, tra i tanti altri, il caso dei 42 studenti di Ayotzinapa. Anche in questo caso, come Vera, come Estela, come le madri e come i familiari dei desaparecidos argentini, la lotta di Yolanda e dell’associazionismo cui essa ha dato vita e dirige scaturisce dalla diretta cognizione del dolore e dalla capacità di dargli un significato trasformandolo in lotta politica (...) Bene ha fatto l’Università di Milano ad attribuire l’importante riconoscimento a difensore dei diritti umani di gigantesca statura come Estela Carlotto, Yolanda Morán e Vera Vigevani, che hanno saputo contrapporsi alla brutalità del potere (...).
MA NON POSSIAMO illuderci che queste tragedie facciano parte del passato o vengano programmate soltanto in aree extraeuropee. Dai primi anni 2000 i Paesi dell’Unione europea e della Nato hanno incluso l’arrivo in massa di migranti e richiedenti asilo nell’elenco dei pericoli da affrontare, alla pari con terrorismo, proliferazione nucleare e cyberwar, per gli effetti destabilizzanti che possono derivarne. A ben vedere, si tratta di contraccolpi che possono aver luogo soltanto in un contesto neoliberista di drastica e costante riduzione della spesa pubblica, quale quello che stiamo vivendo. Basterebbe cambiare le politiche di bilancio per smorzarli e per soffocare sul nascere eventuali guerre tra poveri.
MA NON È COSÌ che agiscono i Paesi dell’Ue e della Nato. Si tenta di risolvere il problema esternalizzando le frontiere e spingendole sempre più a sud, frapponendo normative proibizionistiche che trasformano in res nullius la massa dei disperati che riescono comunque ad arrivare alla sponda sud del Mediterraneo. Non solo, si è costruito un complesso sistema a tenaglia, attraverso il cosiddetto Processo di Rabat sulla sponda occidentale dell’Africa e il processo di Khartoum su quella orientale, di cui fanno parte dittature quali quella eritrea, sudanese, egiziana, i cui governi criminali vengono sostenuti, armati e finanziati affinché blocchino in qualunque modo il flusso dei migranti prima che possano arrivare alle coste mediterranee e diventare percettibili dalla nostra opinione pubblica. E come non ricordare gli accordi di Malta (novembre 2015) , il patto con la Turchia (marzo 2016) , l’accordo-ricatto con l’Afghanistan (ottobre 2016), il succedersi di accordi e memorandum con la Libia fin dai tempi di Gheddafi.
SAPPIAMO ormai, perché ampiamente documentato, quanto avviene in Libia, che è soltanto un tassello del sistema, possiamo ben immaginare i metodi seguiti dai “ diavoli a cavallo” incaricati in un primo tempo dal governo sudanese del genocidio in Sud Sudan e attualmente di dare la caccia e bloccare costi quello che costi migranti e richiedenti asilo. Si sta mettendo a punto un sistema concentrazionario, sparpagliato ma rispondente a un disegno unitario, in tutto l’enorme bacino africano e mediorientale che fa capo al Mediterraneo, nel quale le torture, i massacri, i trattamenti inumani e degradanti, la riduzione in schiavitù, l’espianto di organi e le esecuzioni sono da tempo all’ordine del giorno e che se non bloccato potrebbe diventare il più perfezionato sistema eliminazionista della storia dell’umanità. Ed è tutto questo a produrre il lavoro sporco dei mercanti di uomini e degli scafisti, che tra l’altro finisce spesso per finanziare il terrorismo, e altro non è che il sintomo di un’immensa tragedia umanitaria scientemente provocata a monte.
MA NON BASTA. Non possiamo non dirci che è estremamente improbabile che un barcone possa sfuggire ai controlli incrociati continuamente in atto da parte di aerei, droni, satelliti, elicotteri, sofisticate apparecchiature radar , ecc. e che lo stesso accada per i gruppi che si avventurano nella traversata del deserto nella speranza di raggiungere il Mediterraneo o vi sono costretti dopo il respingimento. Non mancano testimonianze ad avvalorare l’ipotesi che i medesimi vengano inquadrati, seguiti fin dall’inizio e lasciati a percorrere fino in fondo il loro calvario, nell’ambito di una strategia di deterrenza finalizzata a minimizzarne il numero, nell’impossibilità di sradicare del tutto il fenomeno. Non mancano testimonianze su gravissime omissioni di soccorso che di certo costituiscono un illecito internazionale.
CONTINUANO A TENTARE di arrivare perché privi di alternative, in fuga come sono da dittature, terrorismo, catastrofi ecologiche, carestie, miseria estrema e crisi troppo spesso da noi stessi provocate. E allora, ecco che le frontiere vengono spinte sempre più in là, oltre la Libia stessa, in Niger adesso, fino a renderli impercettibili nella tragedia del loro respingimento, invisibili fisicamente e mediaticamente, quindi impensabili e inesistenti perché quod non est in actis, non est in mundo. Ancora una volta, come nell’Europa nazifascista o nell’Argentina dei militari troviamo il quadrangolo sottostante l’attuazione di politiche eliminazioniste: una minoranza, oggetto di pregiudizio sfruttabile politicamente, la segretezza (emblematici in proposito gli accordi a livello di polizia che non debbono venir approvati dal Parlamento), la difficoltà di mettere a fuoco la strategia prescelta e un ondivago sistema mediatico che ci bombarda coll’immagine di un bambino annegato in una spiaggia turca, ma la settimana successiva riduce a trafiletto il naufragio di un barcone con almeno 4 bambini a bordo. Perché nella società dello spettacolo ciò che non fa spettacolo non esiste. Il che spiega anche perché si tenti di delegittimare le Ong che accorrono a soccorrere i barconi in pericolo di naufragio: perché il massacro possa andare avanti senza ostacoli e senza testimoni scomodi.
SI TRATTA, IN UNA PAROLA, dei desaparecidos dell’Europa opulenta del nuovo millennio, e il riferimento non è retorico e nemmeno polemico, è tecnico e fattuale perché la desaparición è una modalità di sterminio di massa, gestita nel cono d’ombra reso possibile da qualunque sistema mediatico, specie se a prevalenza iconografico.
C’È, IN QUANTO STA accadendo, qualcosa che rientra nella categoria dell’intollerabilità del diritto ingiusto, secondo la formula elaborata dal giurista tedesco Radbruch al termine della II guerra mondiale.
Siamo ancora una volta di fronte a un crimine senza nome, ma il crescente numero dei morti, 30mila circa dai primi anni 2000, dimostra di per sé, a mio avviso, che si tratta di un crimine di lesa umanità che va avanti da troppo tempo.
PER FINIRE, vorrei citare alcune parole da una recente intervista della neo Senatrice a vita Liliana Segre: «...proseguirò la mia missione di testimone anche in Senato, in un tempo crudele come questo, quando il mare si chiude sopra decine di persone che rimangono ignote, senza nome, come sono desaparecidos state quelle che ho visto io andare al gas...». (...)
* Enrico Calamai è stato Console d’Italia a Buenos Aires negli anni Settanta. Durante la dittatura militare ha salvato centinaia di persone che rischiavano di scomparire nel nulla. Ha fondato il Comitato verità e giustizia per i nuovi desaparecidos del Mediterraneo. L’università di Milano lo ha invitato ad aprire ieri l’anno accademico con una sua relazione su "Genocidio e desaparición - Politiche eliminazioniste ieri e oggi", che qui parzialmente riproduciamo per gentile concessione dell’autore (versione integrale sul manifesto digitale). La cerimonia ha assegnato la laurea honoris causa a Estela Carlotto, Yolanda Morán Isais e Vera Vigevani Jarach, madri di desaparecidos