CULTURA

Il graffio di Sandro Bracchitta che attraversa la natura

MOSTRE
NICCOLÒ NISIVOCCIAitalia/modica

È in corso a Modica, presso il Convento del Carmine (fino al 4 febbraio), una mostra di Sandro Bracchitta che, se forse sarebbe eccessivo definire antologica, perché raccoglie solo una piccola parte di un lavoro estesissimo, tuttavia consente di cogliere per intero i tratti caratteristici del suo percorso degli ultimi vent’anni: il che vuol dire escludere solo gli esordi, visto che Bracchitta di anni ne ha appena più di cinquanta e che la sua prima personale risale al 1991.
Quella che possiamo vedere esposta a Modica è dunque la testimonianza di un’evoluzione artistica nella piena maturità e nel cuore della vita, e ciò che ne emerge sopra ogni altra cosa è un dato di fedeltà: Bracchitta è un artista rimasto sempre fedele a se stesso, tanto nelle forme espressive quanto nelle idee e nei contenuti.
LA FORMA è quella dell’incisione: mai abbandonata, mai tradita, mai derogata. E del resto nel campo dell’incisione Bracchitta è un maestro riconosciuto, sia in Italia che all’estero. Alcune delle sue opere sono conservate presso gli Uffizi e la Biblioteca Apostolica Vaticana e nelle collezioni del National Museum of Modern Art di Tokio e del China Printmaking Museum di Guanlan. I suoi strumenti di lavoro, come ricordano i tre bellissimi testi presenti sul catalogo della mostra (di Paolo Nifosì, Loredana Rea e Daniela Vasta), sono da sempre i medesimi: il torchio, il bulino, le lastre di alluminio o di rame o di zinco, la punta, gli acidi, gli inchiostri, le vernici, il carborundum (cioè il carburo di silicio). La punta incide la lastra scavandovi solchi, tagli, ferite. Sopra e tutt’intorno si addensano i colori, ora tenui ora forti, ora lisci ora raggrumati e materici: il bianco, il nero, il sabbia, il terra di Siena, intervallati da apparizioni di rosso e di blu. Infine la lastra viene impressa e stampata sulla superficie cartacea, dove rinasce a vita autonoma a partire da quella matrice originaria. È un’arte antica, l’incisione: pretende gesti rispettosi e sapienti, che Bracchitta le tributa e cui aggiunge di suo una sensibilità a metà strada fra poesia e filosofia.
QUANTO AI CONTENUTI, quelli di Bracchitta sono rappresentati da segni sottili tracciati sulle distese di colore: linee, graffi, rami di alberi o di piante che si intrecciano fra loro, si sovrappongono, si confondono. Solo ogni tanto, qua e là, fa la sua comparsa una figura, come una ciotola, una sagoma di donna o una casa stilizzata.
PER QUANTO LA SCENA sia astratta, dietro se ne avverte un richiamo fortissimo alla terra e ai suoi elementi essenziali. La stessa ciotola, osserva Nifosì nel suo testo sul catalogo, sembra divenire un contenitore di vita e forse non a caso è spesso raffigurata in rosso, che appunto è «il colore della vita, del sangue, di tutto ciò che è energia».
Essendo Bracchitta di Ragusa, dove tuttora vive e lavora, sarebbe facile circoscrivere simili evocazioni al suo territorio, trattandole quasi alla stregua di ritratti paesaggistici in forma astratta: la campagna intorno a Ragusa e Modica, appunto, le lunghe spiagge, le colline, e più in generale tutto il Val di Noto, che abbraccia l’intera area della Sicilia sud-orientale, fino a Siracusa e Catania.
TALORA LA CRITICA ha percorso questa strada, ma sarebbe fargli un torto. In realtà le sue opere, pur attraverso tratti silenti, sfiorano verità universali, al di là di qualunque limite geografico. Dentro, ciascuno vi può riconoscere qualcosa di sé, nel senso di una propria indicibile primordialità. Ed è sotto questo punto di vista che forma e contenuti si tengono perfettamente, in Bracchitta: come se le lastre che la sua punta incide fossero terra in sé stesse, nel momento in cui vengono lavorate, capaci di rivelare segreti esattamente come la terra quando viene arata.

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