SOCIETA

Roma, «la nostra città è femminista. E non si sgombera»

Ieri in Campidoglio il presidio organizzato da Non Una Di Meno per sostenere la Casa internazionale e quella di Lucha y Siesta
ALESSANDRA PIGLIARUITALIA/ROMA

«I nostri desideri non sono trasparenti. La città femminista non si sgombera». È stata efficace l’intenzione inserita nel volantino con cui Non Una Di Meno ha chiamato alla manifestazione in piazza del Campidoglio ieri pomeriggio. Molte le donne arrivate all’appuntamento delle 16, altrettanti i segnali di vicinanza da parte di chi non è potuta essere presente.
COLORATO, chiassoso, allegro, a suon di musica, balli e trampoliere, il presidio - durato fino a tara sera - è nato da un percorso di riflessione e presa in carico nei confronti, in particolare, delle vicende riguardanti la Casa internazionale delle donne di via della Lungara e la Casa delle donne Lucha y Siesta, entrambe a rischio di sfratto. Se le ragioni sono diverse, vi è una comunanza che è segnata da una politica istituzionale che latita e che racconta, almeno a livello comunale, di volersi occupare delle due questioni ma di fatto non lo fa.
La sensazione, a valutare le trattative svoltesi fino a ora e che ci auguriamo possano andare a buon fine, è che vi sia un malinteso non solo linguistico riguardante i fondamentali, ovvero che cosa è la politica, quella delle donne in particolare, che cosa è il femminismo, che grande ricorsa sono questi spazi irrinunciabili di libertà non solo per le donne ma per tutti e tutte, chi sono queste ragazze di tutte le età che si ostinano a rendere Roma una città più vivibile e carica di senso di vicinanza, capaci di fornire servizi gratuiti, sportelli antiviolenza, percorsi politici cruciali. Per una città intera e in movimento.
ESPERIENZE e pratiche diverse, le compagne di questi luoghi si sono sostenute vicedenvolmente con la contezza del «pericolo di perdere luoghi essenziali di autonomia, solidarietà e cultura nella città», come si legge nel comunicato stampa. Secondo le organizzatrici è chiaro il «feroce attacco ai luoghi del femminismo, frutto di battaglie storiche e più recenti». Il punto sta nella impossibilità di trovare forse un linguaggio comune che ponga almeno le basi per un ragionamento che sia confronto politico.
Da una parte c’è il Comune di Roma che porta avanti la trattativa con il direttivo della Casa internazionale delle Donne ma che, ogni volta che ci si incontra, chiede maggiore documentazione; le carte, le pezze a fronte di relazioni programmatiche, proposte politiche e pazienza – moltissima – davanti a chi continua a non considerare il valore dei servizi fino a oggi offerti, a ritenere trascurabili i 500mila euro di spese sostenuti negli anni per rimettere a posto il caseggiato di via della Lungara.
LA SPERANZA è che il terreno comune per la trattativa non si tramuti presto in vicolo cieco per l’incapacità di comprendersi. Del resto la pratica politica e la burocrazia ragionieristica difficilmente trovano significativi punti di contatto, la seconda è in genere la morte della prima.
Non sono solo la Casa delle donne e Lucha y Siesta a essere minacciate da procedimenti di chiusura. Vi sono il Centrodonna L.I.S.A., il Centro donne D.A.L.I.A, lo spazio delle Cagne Sciolte, tutti luoghi che per anni hanno consentito a moltissime di scegliere una via d’uscita dalla violenza e di trovare un senso di tessitura che ha raccontato una città vitale, che della trasparenza di una giunta non sa che farsene se ciò significa l’ottusità di non ascoltare le narrazioni messe in atto dalla politica delle donne, dai movimenti radicali, da una forza che non manifesta interesse verso un sistema economico che vuole esclusiva messa a reddito di qualsiasi cosa», non riuscendo a capire il senso neppure di una delle cose che ha davanti.
SU QUESTO PASSO, molto simile è ciò che sta accadendo allo spazio di Lucha y Siesta, al momento dipendente dalle sorti dell’Atac, proprietaria dello stabile che, per sistemare i propri conti, verrà messo in vendita. Con le ragazze ovviamente fuori da lì. «Il piano di risanamento di Atac non devono pagarlo le donne: Lucha y Siesta va salvaguardata e stralciata dalla lista dei beni immobili da svendere, subito».
È VERO che da un punto di vista regionale ci sono stati segnali positivi, come lo stanziamento a favore della Casa di via della Lungara pari a 90mila euro per il sostegno dei servizi di consulenza di tipo legale, psicologico etc.
Altrettanto vero è che al più presto deve essere fatto un ragionamento politico generale che si svincoli da sole esigenze economiche, teso magari al congedo da una idea di legalità rispondente alla soluzione in nome della trasparenza; oggi è un debito, che sia quello da esigere alla Casa internazionale (perché i cittadini devono vederci chiaro) o a quella di Lucha y Siesta (che dovrebbe sacrificare il proprio spazio per coprire il dissesto di Atac).
A fronte di un lavoro enorme che il femminismo in particolare - attraversando tutte le generazioni - ha fatto non solo a Roma, sarebbe divertente quantificare il debito (materiale ma soprattutto simbolico) che le donne potrebbero pretendere da qualsiasi amministrazione di qualsiasi città del mondo.
CERTO APPARIREBBE una logica del risarcimento assai rischiosa e dispari, più vantaggioso allora stare sulla qualità delle pratiche, soprattutto quando sono dotate di intelligenza politica. In effetti ci sarebbe molto da imparare dalle donne, quando hanno la capacità di andare al cuore delle cose: non è infatti solo un singolo luogo fisico a essere sgomberato, è una città intera. Lo hanno scritto e lo hanno ripetuto al presidio di ieri. È così difficile ammettere che hanno ragione?

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