VISIONI

Un flusso sonoro nel labirinto di Mickey Hart

ROCK
GUIDO FESTINESEUSA

È un po’ come tentare la quadratura del cerchio: mettere d’accordo chi è cresciuto a botte di rock «classico» oggi prontamente ascritto nei ranghi della «retromania», e chi ritiene che il meglio sia tutto da scoprire in una contemporaneità sempre più indecifrabile. Eppure qualcuno il cerchio l’ha quadrato da tempo, e col nuovo disco l’asticella è spostata ancora più in alto.
LUI è Mickey Hart, che legioni di adoratori di una grande band storica come i Grateful Dead riconoscono come il padre di Drum e Space, i momenti più avventurosi dei concerti dei Dead. Da decenni il batterista s’è costruito un archivio di «samples» di musiche dal mondo a dir poco labirintico, la base da cui attinge per realizzare i suoi dischi. Sui quali fa intervenire, come qui, gente come Avey Tare degli Animal Collective e Zakir Hussain. Nulla è autentico, tutto è vero: un flusso sonoro assolutamente unico, morbido e avvolgente, costruito con le schegge di mille altri suoni.

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