SOCIETA

«La metà delle donne uccise aveva denunciato violenze»

Lo studio Eures sul femminicidio in Italia: nei primi 10 mesi del 2017 le vittime sono 114
ALESSANDRA PIGLIARUITALIA

Diffusi ieri, a ridosso della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne di sabato 25, i numeri dei femminicidi in Italia nei primi 10 mesi del 2017 confermano il drammatico dato dell’anno precedente. Sono 114 le donne uccise per mano maschile in Italia nel 2017, lo rende noto il quarto Studio Eures. Dopo l’aumento del 5,6% tra il 2015 e il 2016, lo scorso anno vi è stata una concentrazione al nord del paese in cui risultano 78 femminicidi, corrispondenti a più della metà dei totali e con il 30% in più rispetto al 2015. Anche al centro Italia l’incremento è del 30% mentre al sud in diminuzione.
In Lombardia i casi nel 2016 sono stati 25 mentre in Veneto 17 che - quasi triplicati rispetto l’anno precedente - sono un segnale di crescita preoccupante. Il 76, 7% dei femminicidi, prosegue il rapporto Eures, sono stati consumati in famiglia. Un dato che non stupisce visto che nella maggior parte dei casi - quasi la totalità - le donne muoiono per mano di mariti, fidanzati o comunque uomini intimi e interni alle proprie abitazioni.
La nazionalità degli assassini, vista la polemica pretestuosa scatenatasi qualche tempo fa sull’intersezione violenza-migrazione, è per il 92% italiana. La notizia non è che l’8% degli autori sia dunque straniero - la si può lasciare alla pruriginosa retorica di un certo populismo di destra che intende cavalcare con ogni mezzo, anche trattandosi del corpo delle donne, la propria battaglia xenofoba - quanto invece il già noto, vero rimosso, e cioè che in ogni caso sono uomini. Il tema della nazionalità risulta invece tristemente interessante quando si apprende che - sempre nel 2016 - il 25,3% delle donne uccise risultano straniere; significa che quel 5,6% in più dei femminicidi registrati l’anno scorso è una percentuale interamente coperta da donne non italiane.
Nel 44,6% dei casi le donne avevano denunciato - purtroppo inutilmente, visto l’esito - gli uomini da cui avevano subito violenza o minacce. Questa della denuncia che cade nel vuoto è una delle risposte politiche peggiori che si possano dare alla vigilia del 25 novembre perché, se è vero che si tratta spesso di macchine burocratiche piuttosto complesse (ora sappiamo anche difettose), rimarca un insidioso malinteso atto al discredito della parola delle donne a cui una certa sottocultura mediatica chiede di «non stare zitte» mentre il reale riscontro è che quelle stesse donne, oltre a non essere state credute, muoiono ammazzate.
UNO DEGLI EPISODI più recenti è relativo alla vicenda di Noemi Durini, 16 anni, uccisa e gettata in un pozzo in Puglia non più di due mesi fa. La madre aveva denunciato le violenze subite dalla propria figlia ma anche in quel caso non è servito a niente. Ripercorrendo, per quanto possibile, le vite delle vittime di femminicidio nella maggior parte dei casi le violenze sono state ricorrenti, nel 20,7% dei casi invece si è trattato di un picco.
DAL RAPPORTO è stato scoroporato il dato che attiene l’uccisione di 184 donne che esercitavano la prostituzione. Rimangono episodi sospesi, irrisolti e letteralmente lasciati ai margini della cattiva coscienza dell’opinione pubblica. Per non parlare delle vittime di transfobia, di cui poco e nulla si sa. Domani si potrà andare in piazza anche per loro, insieme alle tantissime (e, sarebbe augurabile, tantissimi) che ancora una volta ripeteranno a gran voce «non una di meno». In nome della libertà femminile guadagnata con il femminismo e della forza di lottare contro la sopraffazione maschile che si inasprisce là dove si sente minacciata. Il fenomeno del femminicidio non è un’emergenza, è piuttosto la storia più lunga dell’impotenza degli uomini che odiano le donne e che arrivano a ucciderle. Esattamente, e in quanto donne.

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