CULTURE

Leonardo o non Leonardo il «brand» vale 450 milioni

ASTE STELLARI
ARIANNA DI GENOVAUSA/NEW YORK

Diciannove minuti, una corsa contro il tempo a colpi di decine di milioni alla volta, quattro offerenti in sala e uno al telefono e poi il lotto 9 è stato aggiudicato, riscrivendo la storia delle aste di arte antica e moderna. Il Salvator Mundi, quella tavola in noce neanche tanto grande (65,7 per 45,7 le sue misure), non in buone condizioni a causa di pulizie sulla sua patina troppo profonde che hanno compromesso e abraso i tratti del volto di Cristo, attribuita da alcuni esperti a Leonardo da Vinci e da altri a suoi seguaci o alla sua bottega, è volata al prezzo di 450,3 milioni di dollari (commissioni di vendita comprese).
Una cifra astronomica, mai vista prima d’ora, che consegna alla Christie’s di New York lo scettro di regina (soprattutto del marketing). Quel controverso lotto era partito da una base d’asta di 100 milioni, ma era stato introdotto da una compagna pubblicitaria senza precedenti che aveva visto viaggiare il dipinto in giro per il mondo, per «piazze ricche» come Hong Kong, San Francisco, Londra (fino all’ambita mèta newyorkese), diventando così una star assoluta, senza bisogno di certificati ad attestarne l’autenticità. File chilometriche per ammirare quel quadro, arrivato poi nella Grande Mela come un potente della terra, circondato da super misure di sicurezza, facendo impazzire il traffico.
Un’operazione di marketing quella avviata da Christie’s nei mesi scorsi che potrebbe prescindere dall’opera in sé, dispiegarsi quasi in assenza dell’oggetto (pur di pregevolissima fattura e databile ai primi del Cinquecento). Basti pensare che il dipinto è stato inserito in una vendita all’incanto sul Post-War and Contemporary Art e non tra gli Old Masters, settore con un appeal assai più scarso degli idoli contemporanei, e che vedeva al primo posto Rubens, con «soli» 76,7 milioni di dollari (per Il massacro degli innocenti), mentre tra i «nuovi» c’era il record di Willem De Kooning, 300 milioni conquistati con Interchange.
Il Salvator Mundi è stato argutamente proposto fra i «moderni» in quanto evergreen, per la sua rilevanza nei secoli a seguire. A dimostrazione, era stato avvicinato alla Sixty Last Supper di Andy Warhol che, sulla scia della fortuna leonardesca, è stato aggiudicato a 60 milioni e 875mila di dollari.
La storia di questa ormai strabiliante opera è altrettanto stupefacente. Nel 1958 venne acquistata per 45 sterline (ma aveva strati di pittura sovrapposta). Poi, si è inabissata ed è tornata sul mercato (un’asta regionale), comprata da un americano per 10mila dollari. Era il 2005. Nel tempo però ha cambiato status: nel 2011- dopo una mostra alla National Gallery di Londra - alcuni studiosi internazionali lo hanno presentato come un Leonardo doc e il dipinto passò da copia a (presunto) originale. Nel 2013 a scommettere sulla sua lunga vita sarà infine l’industriale russo Dmitri Rybolovlev, proprietario della Uralkali, società produttrice di potassio e della squadra di calcio As Monaco. Si portò a casa quel Salvator Mundi per 127 milioni di dollari. E quando l’ha messo in asta, pare non abbia pensato neanche per un momento che andasse invenduto. Il brand è una panacea per tutti i mali.

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