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Computer nella forma del dittico

Divano
ALBERTO OLIVETTIITALIA

Il computer sul quale trascrivo questa nota misura, chiuso, trentotto centimetri per quarantuno. È leggero e portatile. Lo apro. Spingo il tasto di avvio. Ecco che lo schermo si accende della sua luce. Una luce brillante, integra, piena. E, una volta attivata, stabile, senza variazioni. La sua intensità costante vince la luce del giorno e, a notte, sovrasta quella della illuminazione artificiale che rischiara la mia stanza. È una luce interna, dentro racchiusa, che non si diffonde. Constati che va a convergere in sé stessa. Neppure al buio, puoi dire che, propriamente, illumini d’attorno. Piuttosto investe l’ambiente di una chiarìa caliginosa, una luminescenza polverosa che omologa neutra ogni rilievo e non crea ombre. Ferma nel suo riquadro, la luce interna permane in un condensato intatto senza possibilità di diluizione né virtù di diffusione. È la luce del ciberspazio, non dell’ambiente in cui vivo effettualmente. Ad esso rimane estranea. Un altro mondo in essa si manifesta: il world wide web.
Le immagini che si formano nello schermo rifulgono di quella luce innaturale. Ne partecipano gli scatti che ho realizzato con la camera digitale. Illumina e irradia il mio stesso volto nel selfie, come non avviene se mi guardo allo specchio. Questo strumento elettronico produttore di tali immagini e sul quale digito le frasi che vengo compitando, maneggevole e portatile, attraente nelle sue eleganti linee industrial design, nella sua lucida levigatezza di plastica, nella sua perfetta funzionalità high technology, è un manufatto di foggia assai antica. È un dittico. Trascrivo dal Dizionario di termini artistici di Michelangelo Masciotta: «(dal latino diptýchum. In greco dìptychos, piegato in due). Il dittico è formato da due tavolette recanti iscrizioni o ornati, di legno, di avorio, o di metallo, congiunte da una cerniera, in modo da potersi aprire o chiudere come un libro. Sui dittici consolari si scrivevano i nomi dei consoli e dei principali magistrati romani. Anche nel periodo cristiano le due tavolette furono ornate di incisioni, di bassorilievi, di pitture».
Il dittico, con l’estendersi del cristianesimo, si diffonde: assolve al bisogno di avere in ogni luogo a disposizione una sacra immagine, l’altarolo di fronte al quale officiare il rito della Messa o raccogliersi nella quotidiana preghiera. Numerosi dittici di elevata fattura, dipinti sui due comparti, ci restano. Ne osservo uno di eletta qualità, risalente alla seconda metà del Trecento, conservato nel Museo Nazionale d’Abruzzo. Opera, scrive Enzo Carli, «da me rinvenuta nel 1938, con altri dipinti, in un armadio della sagrestia della parrocchiale di Santa Maria la Nova a Cellino Attanasio sulle pendici del Gran Sasso e da me riconosciuto a Niccolò di Bonaccorso», pittore senese, «raro e incantevole» lo dice Bernard Berenson. Il dittico di Niccolò ha pressoché le medesime proporzioni del mio computer: quarantuno centimetri per trenta. Aperto mostra, nella sua valva sinistra, il Matrimonio mistico di Santa Caterina d’Alessandria, il Battista, due Angioli e San Giacomo e, nella valva destra, la Crocifissione. Lo spirituale sposalizio di Caterina si svolge in un’aula dall’immacolato pavimento di simmetrici commessi marmorei bianchi e rossi; la Vergine con il Bambino è assisa in trono; ai lati, le multicolori ali dei due angioli sono dispiegate a custodia e a festa.
Nella valva destra, sulla scabra pietraia del Golgota, Maria di Magdala avvolta nella veste purpurea, sciolta i capelli biondi, si afferra in ginocchio al piede della Croce. Giovanni ha un gesto di raccapriccio e la Madonna è chiusa nel dolore. Le due scene sono illuminate da una stessa luce d’oro. Si offre agli occhi nella sua perfezione. L’oro del fondo proviene dall’interno e fissa un’atmosfera senza mutazione che non è di questo mondo. È la luce perenne della gloria eterna. Del computer e dell’altarolo, dittici entrambi, su una attinenza mi interrogo, che mi preme indagare: quella della luce interna che entrambi accendono. Nel caso antico, intrinseca alla gloria che attende i buoni, è rappresentata e illustrata in figura. Nel caso attuale, è conferita a immagini ‘terrestri’ e ‘mondane’ inviate nell’eternità artificiale della rete.

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