SOCIETA

Nave militare tunisina sperona barcone, almeno 8 morti

A bordo si trovavano 70 migranti. L’Oim non esclude «altri venti dispersi»
CARLO LANIAtunisia/Kerkennah

Potrebbero essere almeno trenta le vittime del naufragio avvenuto nella notte tra domenica e lunedì al largo della Tunisia. A provocare l’affondamento di un peschereccio sul quale si trovavano circa 70 migranti tunisini è stata una nave della Marina militare tunisina impegnata nelle operazioni di controllo della costa. Il ministero della Difesa ha annunciato ieri di aver aperto un’inchiesta su quanto accaduto e fornito una prima ricostruzione secondo la quale la collisione sarebbe avvenuta «durante la manovra di avvicinamento all’imbarcazione non identificata».
Il peschereccio era partito dalle isole Kerkennah, un arcipelago al largo di Sfax e distante 120 chilometri da Lampedusa. Sempre il ministero della Difesa tunisino ha parlato di 38 migranti salvati e 8 cadaveri recuperati ma l’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, attraverso il suo portavoce Flavio Di Giacomo non esclude che possano esserci almeno venti dispersi. Alle operazioni di soccorso coordinate da Malta (il naufragio è avvento nella zona di ricerca e soccorso maltese), hanno partecipato anche due motovedette della Guardia costiera italiana, una della Guardia di Finanza e una nave della Marina militare italiana.
Fino alla fine di agosto quella che dalla Tunisia porta in Italia era considerata una rotta praticamente chiusa da tempo. Dopo la crisi del 2011, le partenze di tunisini si erano infatti ridotte notevolmente. Secondo la cifre fornite dall’Oim nel 2014 ci furono solo 1.637 sbarchi, 880 nel 2015 e 1.200 nel 2016. Trend che sembrava confermato anche quest’anno con 1.357 arrivi dal primo gennaio alla fine di agosto.
Con l’inizio di settembre, però, le cose sono improvvisamente cambiate, tanto che solo nel mese scorso sulle coste siciliane si sono contati 1.400 sbarchi ufficiali, ai quali vanno aggiunti numerosi sbarchi cosiddetti «fantasma».
Un incremento che però non va letto come una conseguenza della chiusura della rotta libica (ad arrivare sono ancora solo tunisini) ma che per ora non trova spiegazioni che giustificherebbero la ripresa dei viaggi verso l’Italia. Il costo della traversata si aggira sui 500 dollari e in genere vengono usate piccole imbarcazioni in legno, soprattutto pescherecci, che prendono il largo da Sfax, ma anche da Monastir, 160 chilometri a sud di Tunisi, El Haouaria, Zarzis, Biserta. A partire sono soprattutto giovani divisi in piccoli gruppi per sfuggire meglio ai controlli serrati della Guardia costiera tunisina e spinti dall’acuirsi di una crisi economica che proprio tra i giovani fa registrare un alto tasso di disoccupazione con punte che, nelle regioni meridionali del Paese, raggiungono il 43%. Nessuna conferma, invece, ad alcune ipotesi circolate nei giorni scorsi secondo le quali ad arrivare in Italia sarebbero soprattutto ex detenuti usciti dal carcere in seguito ad un’amnistia. Ogni anno, infatti, per la festa della fine del Ramadan il governo libera quanti si trovano in prigione per aver commesso piccoli reati, fatto che negli anni scorsi non ha mai provocato un aumento delle partenze.
La Tunisia è un paese importante nella strategia europea di contenimento dei flussi migratori, un compito che in passato ha sempre svolto con notevole impegno intercettando i migranti sulla spiaggia. Sempre lo scorso mese di settembre, secondo quanto riferito dal portavoce della Guardia nazionale, Khalipha Chibani, 553 migranti sono stati arrestati dalle forze dell’ordine tunisine mentre cercavano di prendere il mare. «Non c’è più l’immigrazione di massa del 2011, quando il Paese era senza governo», aveva detto all’inizio di settembre il ministro degli Esteri tunisino, Khemaies Jhinaoui. «Anzi, lo scorso anno il numero dei tunisini rientrati in patria ha superato quello degli emigrati».
Circostanza resa possibile soprattutto dagli accordi sui rimpatri siglati da Tunisi con l’Unione europea, che considera i tunisini tutti migranti economici. In cambio Tunisi riceve finanziamenti per progetti di sviluppo nel Paese. Un meccanismo che però, da un mese a questa parte, sembra essersi inceppato e non funzionare più come prima.

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