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Strade chiuse ai giudici di pace

IN-CIVILE
LUCCA DARIA,

I giudici di pace (è probabile che molti di voi ne abbiano incrociato le strade per qualche risarcimento di minor conto, e non chiamateli onorari) sono di nuovo sul sentiero di guerra. Non sarebbe un'espressione da usarsi sotto la bilancia della dea bendata, la quale predilige sostantivi, verbi e azioni meno bellicose, ma le circostanze sembrano proprio portare in quella direzione.
La magistratura di pace è stata chiamata a raccolta per sabato 11 gennaio al Centro Convegni di via Cavour a Roma, dove un'assemblea nazionale organizzata dall'Unagipa discuterà e approverà le forme della mobilitazione contro l'immobilismo - o peggio - governativo nei confronti della categoria entrata in funzione nel 1995 con un mandato quadriennale rinnovato solo due volte e poi solo annualmente.
«Vogliamo certezza della continuità del mandato, garanzie reali di indipendenza ed automia, oltre che la previdenza», sintetizza Gabriele Longo, presidente dell'Unagipa.
Il punto è che l'atteggiamento del dicastero da cui si aspettano collaborazione e sostegno, quello della giustizia, pare indirizzato in senso contrario. Sordi, o sarebbe meglio dire sorda?, agli appelli sempre più pressanti dei 2000 che ogni giorno ergono barricate contro l'illegalità diffusa, i rappresentanti di detto ministero hanno scelto - così spiegano nel loro comunicato i giudici di pace - di farsela addirittura con il nemico. Ovvero, di sostenere nientemeno che il disegno di legge presentato dal senatore ex pidiellino ora neoforzista Giacomo Caliendo. Tale testo, fanno notare dall'Unagipa, contiene proposte che sono state bocciate cinque volte, negli anni passati, da un consiglio dei ministri in cui lo stesso Caliendo sedeva come sottosegretario, e che furono accolte con sei settimane di sciopero della categoria. «Sono irricevibili», riassume Longo. Tutto ciò premesso per dire che, ancora una volta, la ministra Cancellieri sembra fare orecchi da mercante di fronte alle richieste di uno dei pilastri che reggono il tempio della giustizia. Perché? Ci sono motivi strutturali, funzionali ed economici per trattare questa magistratura a pesci in faccia? No. Chi ha avuto modo di osservarla durante l'incontro che ha accettato di presiedere con la categoria, ha notato che la guardasigilli in carica non pare avere una opinione propria sulle questioni che le vengono sottoposte. Piuttosto, recepisce e sottoscrive con scarso senso critico le posizioni espresse dalla burocrazia ministeriale.
Naturalmente, non c'è nulla di male in tutto ciò, se è corrispondente al vero. Anche perché descrive bene quello che è probabilmente lo spirito di un ex prefetto (chi meglio di un prefetto rappresenta l'alta burocrazia di stato?). E però, nel momento in cui la giustizia necessita di riforme di ampio respiro, dal responsabile politico del ministero si richiede forse maggiore capacità di mediazione fra le parti. Perché ciò che conviene alla burocrazia non necessariamente conviene anche al resto del paese.
Per chiudere, una nota su un argomento del tutto diverso. Poco prima di Natale, la sede distaccata di Parma del Tar Emilia Romagna (il tribunale che ha competenza a giudicare sui ricorsi contro gli atti della pubblica amministrazione) ha dato ragione a un magistrato amministrativo che chiedeva il rimborso dei tagli agli stipendi dei dirigenti pubblici stabiliti nel 2010, concedendo persino gli interessi sugli arretrati. La notizia non deve fare sobbalzare sulla sedia ma indurre a una riflessione: questo paese ha davvero bisogno della giurisdizione amministrativa, con relativi costi di stipendi, sedi, veicoli e personale? Meditiamo, senza preclusioni di sorta.

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