Peter Flaccus è un americano (artista) a Roma. Da vent'anni vive nella capitale dove interpreta le cartografie del mondo reale (ma anche di quelli «possibili») attraverso le stratificazioni della cera, materia duttile e insieme imperitura. Nella galleria La Nube di Oort (via Principe Eugenio 60), fino al 16 gennaio, sono esposti tre grandi dittici, sorta di paesaggi - realizzati con la tecnica dell'encausto, processo lento e di sperimentazione continua - dove esterno e interno si confondono, così come cielo e terra (la mostra è a cura di Tanja Lelgemann). La cera - colata, lavorata a spatolate, filtrata con i colori, profondamente antica e materica, quasi sacrale - diventa un bozzolo fantasioso in cui imbrigliare le forme che, a quel punto, prendono direzioni diverse, si ribellano ai confini, alle frontiere e si espandono, spesso dando luogo a micro universi organici, a metà fra le costellazioni delle galassie e le cellule del corpo umano. Madagascar, Le Isole, Le Alpi: sono questi i titoli che Flaccus appone sulle sue opere. Geografie emotive, sentieri sentimentali le sue, non certo una mappatura dell'esistente. Può dunque accadere che si «legga», dietro il velo di cera, un lago, una roccia, una informale crosta terrestre che prima affiora in mezzo agli strati, poi viene inghiottita da improvvise esplosioni cromatiche.