CULTURA

La nuova irriverenza del sesso economico

SCAFFALE · «Genere. Per una storia critica dell'uguaglianza» di Ivan Illich
PIGLIARU ALESSANDRA,

La scrittura di Ivan Illich, pensatore tanto radicale quanto nomade nella storia del Novecento, possiede il dono dell'irriverenza anticipatrice. Scomodo e poliedrico, Illich ha sconfinato e contaminato numerose discipline. Dalla filosofia alla teologia, passando per la sociologia e l'antropologia, la sua ricezione non è stata immediata, seppure alcune delle sue opere quali Deschooling Society (1971), Medical Nemesis (1976), Tools for Conviviality (1973), Shadow Work (1981), abbiano avuto delle ricadute notevoli nel dibattito a lui coevo e successivo. Oltre a collocarsi nel solco della critica post '68 alle istituzioni e all'autoritarismo, le sue proposte, insieme a quelle di André Gorz, anticipano le discussioni sulla decrescita - tra gli altri si pensi a Serge Latouche. In questo quadro di interessi è da leggere anche la recente edizione del volume Gender. Pubblicato nel 1982 e ora inserito nelle postume Ouvres complètes (Marion Boyars Publishers Ltd, London 2004-2005), viene tradotto per la prima volta in Italia nel 1984. Tuttavia Genere. Per una storia critica dell'uguaglianza (Neri Pozza, pp. 266, euro 18,00), con la bella traduzione di Ettore Capriolo e la cura preziosa di Fabio Milana, rappresenta un'importante novità. Lavoro poderoso e articolato, è uno studio specifico sulla sparizione del genere e la sua trasformazione in sessualità. La preoccupazione di Illich è quella di segnalare come «il paradigma dell' Homo oeconomicus non quadra con ciò che gli uomini e le donne sono in realtà. Essi forse non sono riducibili a meri esseri umani, a neutri economici di sesso maschile o femminile. L'esistenza economica e il genere potrebbero quindi essere letteralmente in-comparabili». Come suggerisce Giorgio Agamben nella prefazione al volume, per Illich si rintracciano due modi di produzione: uno autonomo e l'altro eteronomo. Il primo produce valori d'uso destinati alla sfera domestica o vernacolare . Il secondo è invece rivolto alla produzione di merci per il mercato. Lo sconquasso sta nella perdita di equilibrio tra i due poli; più specificamente, nella esasperante produttività del secondo modo facendo sì che l'autonomia lasci il posto al cosiddetto lavoro-ombra , quello gratuito e non retribuito del consumatore che rende possibile e utilizzabile il teatro delle merci. Nell'illusione di servirsi di quanto il mercato mette in circolo, i consumatori lavorano inconsapevolmente per esso nella deprivazione di tempo e indipendenza. Questo sistema, dotato di una frenetica e falsa speranza nei confronti della facile disponibilità, non può che collassare nel suo opposto: la controproduttività, dice Illich, ovvero la paralisi di ogni cosa che schiaccia il futuro. Ma veniamo all'oggetto specifico del testo: il genere a cui si riferisce il filosofo austriaco è quello vernacolare, laddove vernaculum , parola antichissima, apre alla «totalità di qualsiasi insieme composto di due sottoinsiemi che coincidono coi generi». Precisando la sua tesi intorno al «regime della scarsità» contrapposto al regno del genere, Illich non ha alcun dubbio nel dichiarare, infine, che la scomparsa del genere vernacolare abbia effettivamente aperto alla creazione di due falsi miti: quello che concerne il passato sessuale della società e l'altro che esalta la tendenza egualitaria tra i sessi. Il primato del sesso sul genere e, nella fattispecie, la scomparsa del genere vernacolare, è invece per Illich la sostituzione definitiva attuata dal capitalismo che fa proliferare il sesso economico. Dunque il genere viene riconosciuto come un'associazione tra cultura materiale locale e le donne e gli uomini che ne subiscono i condizionamenti. Il sesso economico è invece una polarizzazione concettuale - paradossalmente neutra - emergente dalla spoliazione del genere. Nel dibattito statunitense sul genere, già fecondo negli anni Ottanta, Illich è tuttavia da osservare con un certo rilievo: la lingua vernacolare , che potremmo qui chiamare lingua dell'esperienza, viene letteralmente fagocitata dalla lingua insegnata , che fabbrica «parole chiave» (di cui il sesso è centrale) atte al mantenimento della neutralità economica. In questa pericolosa aridità linguistica come costruzione di una struttura impossibile da disfare, Illich trova il punto di non ritorno nella trappola principale: l'economia, «scienza dei valori in condizioni di scarsità». Sarebbe inefficace muoversi intorno alla dicotomia tra economia non sessista e sessista quando non si comprende che è lo stesso sviluppo economico ad essere sessista tout court , avanzato proporzionalmente alla distruzione del genere. A tal riguardo non vengono proposte soluzioni ma analisi attente di quel punto di rottura che fa della contemporaneità una catastrofe di difficile gestione. Alla luce di questo posizionamento dunque, bisognerebbe rileggere anche le sue considerazioni sulla convivialità e sul lavoro. Se, infatti, da una parte si rintraccia una fiducia nella relazionalità, dall'altra si deve prestare attenzione al metodo di quella stessa partecipazione: praticare cioè forme dell'agire che siano fuori dallo schema totalizzante dello sfruttamento, e che prevedano un'adesione critica al lavoro come campo in cui mantenersi prossimi alle proprie intenzioni. A questo punto, che fare? Se navighiamo davvero nell'espropriazione definitiva, non si potrebbe comunque tentare l'interrogazione su un futuro possibile? Per evitare di considerare la crisi globale, di cui si vedono nitidamente i tratti, come unica detentrice delle esistenze umane. In proposito, se il manifestarsi del genere fosse legato unicamente al mancato o ipertrofico sviluppo economico non se ne sarebbe potuta fare un'utile modalità di ricerca storica e sociale, per esempio, come è accaduto grazie ai dibattiti femministi intorno al tema, da Joan W. Scott in avanti. Perciò il contributo di Ivan Illich va letto, con impegno e desiderio di chiarificazione riguardo un argomento come il genere che ancora oggi anima numerosi confronti, accademici e non.

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