PRIMA

La decadenza del «primo» dei berlusconiani

ADRIANO GALLIANI LASCIA IL MILAN
PICCININI ALBERTO,ITALIA

«La sua vita professionale prese una
svolta importante nel '75 quando con
due soci, lasciato il suo impiego in comune,
indebitandosi e ipotecando l’appartamento
in cui viveva, acquista la
società Elettronica Industriale dall’Ing.
Barbuti. Era un momento favorevole
per comprare in quanto molti imprenditori
brianzoli avendo paura che il
Pci potesse vincere alle elezioni si affrettavano
a vendere le proprietà». La citazione
– tratta da una biografia casualmente
trovata in Rete - è lunga ma vale
un film intero sull'incubazione del
berlusconismo negli anni '80 del secolo
scorso.
Il protagonista si chiama Adriano
Galliani, ovviamente. Brianza. Anticomunismo.
Ipoteca l'appartamento.
Elettronica industriale. Televisione.
Berlusconi. All’epoca dei fatti Galliani
è geometra diplomato, impiegato
pubblico come suo padre. È stato già
candidato sindaco nella sua Monza
per la Democrazia Cristiana. Particolare
non indifferente: è moderatamente
juventino, come Emilio Fede. Trafficando
coi ripetitori della tv svizzera e con
la sua certo improbabile - ma non trascurabile
per chi voglia ricostruire il
Nord Italia di quegli anni lontani – promessa
di libertà dal monopolio Rai, diventa
nel 1979 l’architetto della prima
illuminazione televisiva privata del paese,
quando Berlusconi gli compra il
50% di Elettronica Industriale e apre
Canale 5.
L’uomo è intraprendente. Con spirito
di adattamento animale – soprattutto
brianzolo - nel 1986, dopo due anni
di apprendistato al Monza, inizia a ricoprire
la carica di amministratore delegato
del Milan, anche questo salvato
dal baratro da Silvio Berlusconi e subitanea
gemma del suo impero mediatico.
Da lì non schioda più. Diventa una
maschera del calcio italiano moderno:
vince scudetti e coppe, tratta brocchi e
campioni.
Kakà, Ibrahimovic, Pirlo,
Balotelli. Sacchi, Capello,
Zaccheroni, Ancelotti.
Ritira la squadra da un lontano
quarto di finale di Coppa
dei Campioni perché allo stadio
è andata via la luce, e si becca
una stagione intera di squalifica;
eletto presidente della Lega Calcio
in flagrante conflitto d'interessi
(deve trattare con Mediaset
i diritti televisivi), si dimette
quando incappa nelle intercettazioni
di Calciopoli. Ma nel giorno
in cui, dopo 27 anni, annuncia
le sue dimissioni dalla società
rossonera è bene ricordare la
sua potente ma scomoda posizione:
dicono che come dirigente
sia stato bravo e competente,
o bravo tutt’al più a gestire i milioni
del Berlusca,mala suamassima
bravura è stata la capacità
teatrale di non far ombra mai alla
narcisa e paperondepaperonesca
natura del Presidente. Sempre
stato «vice».
Nell'ultima felice intervista televisiva,
dopo il 3-0 del Milan
contro il Celtic, Galliani ancora
dedica la vittoria al Presidente
«che sta vivendo giorni difficili».
Quindi, facendo abbassare l'inquadratura,
mostra un comico
paio di calzettoni rossoneri sotto
il vestito elegante. Negli anni
– quasi come se denunciasse
ogni volta chissà quali insicurezze,
forse la macchia del vecchio
tifo juventino – ha sperimentato
su di sé un campionario di vanità,
ossessioni, tic tifosi che al
confronto Massimo Boldi e i
film dei Vanzina impallidiscono.
Indossa cravattoni gialli per scaramanzia,
a righe windsor oppure
a fiorellini, ne possiede 200, dice.
Le telecamere lo riprendono
spesso nelle sue scomposte esultanze
in tribuna autorità. In effetti
fa ridere. Il volto gli regala
una mimica da cartone animato:
lo chiamano zio Fester, anche
per via del fisico.
Nella sua curiosa (e indicativa
forse) mistura di efficienza brianzola
e corporeità fantozziana,
Galliani è stato il primo dei berlusconiani.
Al punto che il look
dei primi templari di Forza Italia
di metà anni '90 sembrava preso
di peso dal suo: grisaglia, cravattoni
colorati, sorrisone brianzolo,
cranio pelato (in curioso
contrasto con l’opposta ossessione
del Presidente). Molte donne
accanto, alcune ufficiali, altre attribuite
dal gossip di chi sa come
vanno le cose in televisione,
tutte più giovani di lui.
Si ripete in questi giorni (con
fin troppa ansia, forse) che la decadenza
di Berlusconi non è la fine
del berlusconismo; ma nell’eclisse
di Emilio Fede e ora in
quella di Galliani, sarebbe ingiusto
non scorgere un qualche
graffio di speranza.
Venendo alle voci di oggi, dicono
che abbia respinto l'offerta
di Berlusconi per un ruolo operativo
nella nuova Forza Italia, o
comunque nell’organizzazione
degli sgangherati qleb Forza Silvio
che (forse) verranno. E che
l'attacco pubblico di Barbara
Berlusconi sulle sue responsabilità
nella crisi del Milan lo abbia
convinto a un sofferto sussulto
di dignità. Dicono che stia trattando
una buonuscita milionaria.
Problemi suoi. I riflettori, a
proposito, si accendono ora sulla
presidentessa. Figura interessante
sotto tutti gli aspetti, specie
quelli antropologici, che alla
fine di tanta vanità sono quelli
che resteranno veramente.

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