VISIONI

L'amore crudele nell'abisso allucinato della Storia

ANDRZEJ ZULAWSKI - Domani a Roma presentazione del suo romanzo «italiano»
ERMINI CECILIA,

Un libro dal nome C'era un frutteto di primo acchito può evocare un qualcosa di fiabesco, magico, un eco di storie fanciulline che assomigliano al gigante egoista di Oscar Wilde o al giardino segreto di Frances Hogdson Burnett, ma se l'autore di tanta suggestione ha il nome di Andrzej Zulawski, qualcosa di immediatamente sinistro e oscuro rompe l'idillio fatato. Zulawski, il regista polacco degli eccessi isterici e degli abissi allucinati dell'anima, l'autore delle copule aliene e delle atrocità amorose, ha nascosto ai più per qualche decennio la sua seconda natura di romanziere prolifico e convulso, quasi una trentina di libri, capace di tramutare in prosa i salti mortali abortiti del suo cinema.
C'era un frutteto è il primo libro di Zulawski pubblicato in Italia, eccezion fatta per la traduzione di un racconto breve sulla figura di Gilles de Rais dal titolo Barbablù una decina d'anni fa - mentre in Francia, patria d'adozione da qualche decennio, le pubblicazioni dei suoi romanzi sono oramai un'abitudine consolidata, - e verrà presentato domani, con il regista stesso e la traduttrice Marina Fabbri, nell'ambito del Festival del Cinema Polacco alla Cineteca Nazionale di Roma. Nell'ultimo decennio la frenesia letteraria del regista si è intensificata, a causa probabilmente della lontananza dalla macchina da presa (ultimo film nel 2000 La fidélité), ma tutto il corpus filmico di Zulawski è sempre stato pervaso da influenze letterarie, dirette o indirette, basti pensare a film come La femme publique ispirato a I demoni di Dostoevski, Amoru braque - L'amore balordo dove viene messo in scena Il gabbiano di Cechov o al già citato La fidélité, tratto da La principessa di Clèves di Madame de La Fayette.
Cinema e letteratura sono dunque per Zulawski un osmosi inevitabile, «Tutti i miei romanzi sono film che non sono riuscito a realizzare» ripete spesso il regista, che si mescola all'ingrediente fondamentale della vita e del passato, soprattutto legato al dramma storico, da lui vissuto in una Polonia depredata per decenni della sua vera identità. C'era un frutteto ha la magica qualità di condensare in circa duecento pagine tutte le ossessioni autoriali del regista-scrittore, creando una mistura potente fatta di pulsioni genitali, ricordi d'infanzia filtrati dagli orrori della Storia e di simbolismi sprezzanti del pericolo ermetico. Il romanzo abbraccia storicamente i tormenti della Polonia invasa dai nazisti e dai russi alla fine degli anni '30, la resistenza dell'Insurrezione di Varsavia nel 1944, i primi decenni del dopoguerra mentre l'amore crudele e tormentato fra tre giovani, Julia, Antoni e Adam, viene raccontato a Zulawski stesso, nel libro si ritrova nel giardino di un palazzo alla ricerca di location per il suo film Il diavolo, da un enigmatico giardiniere, testimone oculare del triangolo d'«amor fou».
Un romanzo, scritto nel 1985 e pubblicato nel 1992, che dunque riesce a farsi sintesi dei film di Zulawski girati in Polonia prima dell'esilio francese, dove la componente storica non poteva che essere barocca, allegorica ed espressionista per lenire i traumi delle invasioni straniere, e il nuovo corso «francese» caotico e dinamico nel metaforizzare la sua patria anche attraverso il semplice racconto di una storia d'amore, grazie a uno stile così miracolosamente simile ai movimenti spasmodici della sua macchina da presa. Una piccola, grande consolazione cinefila insomma, in grado di colmare quell'astinenza da celluloide che l'industria cinematografica, oramai chiaramente disinteressata al discorso zulawskiano, crudelmente ci impone da anni.

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