VISIONI

La vita il 21 dicembre 2012, il mondo continua a esistere

Pistoletto/ «TWENTY ONE TWELVE THE DAY...»
DI GENOVA ARIANNA,

Il 21 dicembre 2012 il mondo non si è disintegrato, come annunciato dalla profezia Maya. Anzi, sul globo terrestre, le stagioni hanno continuato ad alternarsi con la medesima indifferenza degli anni precedenti, scandendo il tempo umano con i ritmi della natura, senza catastrofismi. Il film del regista portoghese Marco Martins Twenty One Twelve the day the World didn't end (126'), che il festival di Roma ha portato nella sezione CineMaxxi dedicata ai nuovi linguaggi sperimentali del cinema, apre sul volto e le parole di Michelangelo Pistoletto (che ha collaborato alla sceneggiatura). Dalla sua finestra di Biella, forte della sua barba bianca da saggio, scruta le foglie secche che il vento accartoccia e si confessa sempre stupito da quel rinascere caparbio dopo l'inverno, dall'indomito arrivare della primavera dopo che tutto sembrava in letargo, come morto.
È da qui, da questo assunto teorico del grande artista e intellettuale (lo vediamo intento a correggere il testo Omniteismo e democrazia, fino a che la sua immagine si dissolve per portarci in Giappone su strade innevate, in compagnia di una performer estrema) che parte l'impaginazione del film e si coagula/incarna in dodici vite.
Dodici incursioni in altrettante giornate di uomini e donne, separati da migliaia di chilometri. Personaggi anonimi o creativi (musicisti, scrittori, artisti) scandiscono lentamente il quotidiano con una gestualità rituale. Così c'è l'uomo che a Mumbai porta il cibo in confezioni casalinghe, la «grande madre» che dirige un orfanatrofio e alleva, insieme, i figli reietti degli altri (India), oppure la contadina rocciosa, che non ha lasciato il suo villaggio portoghese abbandonato e continua a vivere come sempre, da sola, circondata da case disabitate. E c'è la disegnatrice di giochi di Tokyo che in metropolitana fa i suoi schizzi, mentre dall'altra parte del mondo - quel 21 dicembre - è festa grande nella città sul Gange più sacra che c'è. Qualcuno «ruba» ritmi ai rumori urbani, qualcun altro aspetta la fine e la esorcizza con la scrittura canzonatoria. Tutti sembrano sonnambuli intrappolati nella realtà. Spettatore compreso.

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