Tutto è stato calcolato per essere riferito nella conferenza stampa di bilancio del Festival del Film di Roma, numero di biglietti venduti, copertura mediatica, delegazioni, incontri, mostre, tranne un elemento fondamentale per un festival, il quoziente di interesse dei film. Ma è chiaro, non di festival si tratta in questo caso ma di un oggetto nuovo con un nome coniato apposta da Muller, Il «festaval» che tanto valeva chiamare festa come è sempre hanno voluto i suoi committenti. I 163 film da 30 paesi, le 402 proiezioni in 7 sale occupate al 70 %, 26 convegni e tavole rotonde e il 30% in più di accrediti al mercato per non parlare trentamila e più like di facebook non fanno certo salire il valore dei film, oltre al fatto che l'Auditorium a dispetto delle attrezzature non è un luogo nato per il cinema, perfetto invece come fiera campionaria, per il movimento attorno agli eventi sul red carpet, come la giornata di Hunger Games che ha suscitato perfino l'interesse del produttore. Per il futuro del festival, Marco Muller avverte che «Bisogna mettersi in gioco, aprirsi, inizia adesso il momento della verifica, quando sentiremo il parere dei soci fondatori. In un paese in cui c'è stato un calo di 20 milioni di biglietti in meno rispetto allo scorso anno, andate a convincere un venditore che il lancio di un film deve essere l'Italia. Per avere qualche possibilità di ottenere film americani, per le prossime date si dovrà tenere conto del Thanks Giving e dell'American film Market», quindi proprio a ridosso del festival di Torino. Certo dipende da che film, lo riconosce anche il direttore artistico : «Se è un festival Roma perde, se un festaval vince, ma con le date giuste».