CULTURA

Scatti di stupore che mozza il fiato

RASSEGNA · Il «National Geographic» in mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma
DI GENOVA ARIANNA,

Fotografare il mondo. Nei suoi angoli più remoti, arrivare là dove nessuno mai si era spinto. Magari soltanto per scoprire la foglia piena di venature di una pianta sconosciuta. O vedere da vicino un orso polare più bianco dei ghiacci che lo circondano. Nella nostra epoca digitale e virtuale, dove tutti gironzolano per il pianeta rubacchiando immagini e godendo dei «post» di viaggio pubblicati sui social network dagli altri, c'è qualcosa che rischia di andare perduto per sempre. È la capacità di provare stupore, quella meraviglia infantile che apre ogni essere umano all'accoglimento dell'altro da sé e insieme dell'altrove non calpestato dai nostri piedi. Sapere di non essere gli unici abitanti sulla terra, l'unica cultura, l'unica religione, l'unico corpo, meno che mai l'unica mente pensante, può trasformarsi in una rivoluzionaria posizione politica. Specie fra le tante, elemento della natura che si mescola con l'acqua, la terra, il fuoco, il cielo, l'uomo tende a dimenticare quale sia il «suo posto». Ogni tanto, la violenza delle catastrofi naturali glielo ricorda e lo ammutolisce. E risveglia la sua fanciullezza , da intendersi come stato d'animo, emozione pura. In maniera meno brutale di una tempesta, può stimolare quella rinascita collettiva dell'umanità una mostra, soprattutto se offre una «pinacoteca» di scatti mozzafiato che raccontano il mondo in cui viviamo, con i veri colori, i disastri improvvisi, le sfumature delle stagioni, le gioie e tristezze degli animali, le dissonanze di paesaggio quando, a stravolgerlo, arrivano le amministrazioni degli stati sovrani. Così, il National Geografic presenta al Palazzo delle Esposizioni di Roma una Grande Avventura, recuperando dalla sua lunga storia la memoria di spedizioni spericolate, ricerche affannose, luoghi leggendari e incontri con animali che possono cambiare il corso di un'esistenza, come fu per Jane Goodall e i suoi scimpanzé. La festa degli occhi è tutta per i centoventicinque anni della Society che vide la luce a Washington quando nel 1888 trentatré scienziati e intellettuali si diedero appuntamento al Cosmos Club, preoccupati per le sorti della geografia e per la sua scarsa divulgazione tanto da cominciare a pubblicare un bollettino. E anche per i quindici vissuti intensamente dal National Geografic Italia: un binomio da celebrare con una rassegna, a cura di Guglielmo Pepe (visitabile fino al 2 marzo 2014) che, per questa volta, cambia connotati e si immerge nel suo stesso albero genealogico, frugando e navigando fra le tracce di un cammino romanzesco. Un viaggio à rebours che guarda ai primi scatti fotografici e ripropone le cover della rivista che fecero scalpore (questo periodico può contare su una identità grafica che è una miscela di innovazione e riconoscibilità), per poi lambire i nostri giorni. Tutto racchiuso in centoventicinque immagini; ognuna è lo scrigno di una narrazione mai interrotta. «Ricordiamoci che il patrimonio che abbiamo a disposizione non è inesauribile - avverte il curatore Pepe - Se dopo la mostra vedrete con occhi diversi, più empatici e comprensivi, tutte le specie viventi, sarà missione compiuta». La cartografia del National Geografic non si è fermata neanche di fronte alla luna. È lì, su quella superficie piena di crateri e inghiottita dalla notte cosmica, che ha sventolato la bandiera a strisce blu, verde e bruna della Society. La ritroviamo poi sulla cima dell'Everest, sul fondo della Fossa delle Marianne, nelle terre più remote del Polo Sud. La sua storia era già epica: nel 1906 il magazine segnò una tappa importante nella storia della fotografia realizzando dei reportage notturni degli animali selvaggi e, vent'anni dopo, mostrava i primi scatti subacquei. Più di diecimila sono state le spedizioni finanziate dalla Society. Quando il mitico relitto del Bounty venne individuato, i fotografi del National Geografic erano lì. Poi, sarà Robert Ballard a inseguire negli abissi il Titanic affondato, e con lui i reporter della rivista. Ora le tecnologie sono cambiate. Si usano strumenti sofisticati come radar, raggi laser, ricostruzioni in 3D: si entra nella tomba di Gengis Khan e si surfa dentro il dna. Sempre mantenendo intatto il desiderio di incanto.

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