Ultimi giorni per il festival di Lucerna 2013, che dopo un mese chiude domani con i Wiener Philharmoniker, Maazel e il genio delle percussioni Grubinger. Si può già tracciare un parziale bilancio di una stagione apparentemente non scalfita dalla crisi onnipresente: afflusso di grandi orchestre e di pubblico senza flessioni rimarchevoli, consueta ricchezza di proposte contemporanee in equilibrio con l'endemica carenza di originalità dei programmi maggiori, riscattata peraltro dalla possibilità di ascoltare quotidianamente grandi capolavori in esecuzioni superlative, eventualità non verificabile in altre iridate rassegne. Fra i successi più indiscussi di quest'anno spicca l'impresa dei Bamberger Symphoniker, guidati da Jonathan Nott, che hanno celebrato l'ossessione del bicentenario con la prima esecuzione a Lucerna del Ring wagneriano, in versione concertante. Impresa ragguardevole, il cui primo merito va proprio a Nott, che ha saputo trarre dal «strumento» dei Bamberger Symphoniker una ricchezza di sonorità e un'intensità teatrale tali da non temere il confronto con altre più celebrate orchestre in cartellone a Lucerna nei medesimi giorni. Il 4 settembre il ciclo si è concluso con Götterdämmerung , principiato da Wagner proprio nella villa di Tribschen, a tiro di schioppo dalla grande sala del KKL, sul lago (oggi è un amabile piccolo museo). La lettura di Nott potrebbe sommariamente ascriversi al filone «narrativo», i tre atti dipanati con continuità e chiarezza esemplari, evitando gigantismi architettonici, con tempi spediti e una marcata aderenza alla vicenda teatrale e allo scavo della parola. In questo quadro si sviluppa la sapida costruzione psicologica dei personaggi e si lumeggiano le formidabili implicazioni storiche, filosofiche e extra-musicali dell'opera, senza permettere loro di saturare l'intero edificio musicale con ossessività rituale. In quest'ottica i colori orchestrali dorati, tenui, sorprendentemente trasparenti, di alcune scene ( l'effimera felicità mattinale di Brunnhilde e Sigfrido, il viaggio sul Reno e più avanti l'incontro con le ondine, il racconto di Sigfrido e la catarsi della sezione estrema dell'Immolazione) costituivano un emozionante, mobilissimo contraltare a una seconda tavolozza timbrica, estesa dal bronzo al peltro opaco, pronta a sporcare e strappare il suono nei momenti più tetri, dalla profezia delle Norne al sogno di Hagen, dal giuramento di morte fino alla celebre marcia funebre, per una volta assai meno orrendamente sfregiata dall'associazione maledetta con la storia del XX secolo. Positiva la prestazione della compagnia a partire dal Sigrfido di Andreas Schager, che - come già successo alla Scala pochi mesi fa - è corso a sostituire un collega per rivelarsi il trionfatore della serata. Voce eterodossa ma cospicua, argentea e brunita a un tempo, Schager punta su un fraseggio acceso talora fino alla esagitazione, con molti momenti autenticamente elettrizzanti. Canto florido anche per la Brunnhilde di ascendenza mezzosopranile di Petra Lang, che compensava con la dovizia dei centri qualche acuto tirato e un generale sentore di innaturale artificio. Gelido, splendidamente nero l'Hagen di Mikhail Petrenko, qui perfino più arrogante nel canto che nelle prove milanesi e di Aix en Provence. A fuoco Peter Sidholm, Alberich, e Michael Nagy, Gunther, come anche le tre Norne, le figlie del Reno e la commossa, luminosa Waltraute di Viktoria Vizin. Perfettamente integrato nella visione di Nott l'eccellente coro della Radio di Berlino, che ha condiviso insieme a orchestra, cast e direttore il trionfo finale, con una tempesta di applausi seguita ai dieci lunghi, commossi secondi di silenzio. Sortilegio rarissimo e prezioso, prova sicura di un'interpretazione memorabile.