PRIMA

Quegli spazi vuoti sono l'oro di Napoli

BENI COMUNI
MONTANARI TOMASO,

L'esperienza del governo napoletano di Luigi De Magistris presenta, come è ormai evidente, non poche zone d'ombra. Alcune di queste riguardano proprio la politica culturale: e in modo particolare la gestione infelicissima del luna park noto come Forum delle Culture, un progetto fallimentare ereditato dalla precedente amministrazione, e che il sindaco arancione non ha avuto il coraggio di cestinare.
La vicenda ha registrato proprio in queste ore un passaggio grottesco: con l'assessore alla Cultura Nino Daniele (subentrato alla bravissima Antonella Di Nocera, rimossa per eccesso di onestà intellettuale) che affida al fratello del sindaco un importante incarico retribuito collegato al Forum. E quest'ultimo poi costretto a rinunciare.
Accanto alle ombre, tuttavia, ci sono anche luci. Tra queste credo che vada conteggiata l'istituzione di un Osservatorio sui Beni Comuni: lo credo al punto di aver accettato di farne parte insieme ad altri colleghi universitari (giuristi, economisti, storici). Il decreto istitutivo conferisce all'Osservatorio «funzioni di studio, analisi, proposta e controllo sulla tutela e gestione dei beni comuni».
Nelle nostre prime riunioni siamo partiti da una base giuridico-politica per nulla ovvia, e cioè che «laddove beni, anche in proprietà privata, siano abbandonati e perciò non assicurino quella funzione sociale, imposta dalla Costituzione, per cui il diritto di proprietà è riconosciuto e garantito dalla legge, sia possibile ritenere non più sussistente il diritto di proprietà e, dunque, acquisire il bene stesso alla collettività, ritenendolo un bene comune, ossia un bene oggetto di proprietà collettiva». Si tratta di tentare un'applicazione sistematica di quel radicalismo costituzionale che ha condotto a esperienze notissime (come il Valle a Roma, l'Asilo Filangieri a Napoli e molte altre in tutta Italia). Non solo: si tratta anche di alzare il piano di questa applicazione, coinvolgendo un'intera amministrazione comunale e non solo singoli cittadini, inevitabilmente più esposti ad eventuali azioni penali.
Da un punto di vista procedurale, l'Osservatorio sta definendo gli strumenti amministrativi di acquisizione di beni (privati o pubblici), abbandonati e dismessi. Nel merito, si tratta invece di elaborare una mappatura dei beni abbandonati e/o dismessi, e poi di elaborare procedure amministrative di nuova destinazione, di modelli partecipati di assegnazione e gestione, di piani di sostenibilità finanziaria.
Il caso del patrimonio artistico, di cui mi sto occupando, è particolarmente delicato. Non c'è città al mondo che abbia un patrimonio culturale tanto importante e al contempo tanto degradato, e inaccessibile ai cittadini. La cosa è atrocemente paradossale, se si pensa che il patrimonio, a Napoli, è diffuso capillarmente: ogni strada del gigantesco centro storico, anche la più devastata, è in qualche modo monumentale. In particolare, l'enorme «Napoli sacra», la cittadella religiosa fatta di chiese, oratori, confraternite, conventi, monasteri, innerva capillarmente il corpo della città: e ne è, in qualche modo, l'anima. Un'anima che può assolvere ad un cruciale funzione civile: la Napoli sacra offre alla Napoli di oggi un'enorme quantità di spazio pubblico di straordinaria qualità, ubicato in una zona popolarissima e disagiata.
Ma come è possibile rendere di nuovo accessibile ai cittadini (e specie agli ultimi) questo straordinario patrimonio negato? Con un intollerabile ritardo culturale (che, per esempio, rispetto agli Stati Uniti si misura in almeno tre decenni) l'opinione dominante in Italia vuole che la via d'uscita sia affidare in concessione questi luoghi monumentali a società private con scopo di lucro, o nel migliore dei casi ad onlus. La sfiducia nella gestione pubblica del bene comune è così elevata che siamo disposti a credere che società con il legittimo fine dell'interesse privato saprebbero coltivare l'interesse pubblico in modo più efficiente dello stato. Una posizione puramente ideologica, quest'ultima, che non solo rigetta alla base il progetto della Costituzione sul patrimonio culturale (rivolgendosi non a cittadini sovrani, ma a clienti a pagamento), ma non tiene in minimo conto i pessimi risultati della sostanziale privatizzazione della gestione del patrimonio inaugurata dalla Legge Ronchey all'inizio degli anni Novanta.
Un altra strada è, tuttavia, praticabile: e proprio Napoli può essere il laboratorio in cui sperimentarla.
L'Osservatorio può individuare alcuni casi di monumenti importanti (da un punto di vista storico, artistico, sociale o altri ancora), in proprietà pubblica o privata, che siano negati e inaccessibili da molto tempo, per la cui riapertura non esistano progetti, o che addirittura siano esposti al rischio di distruzione (e l'elenco sarebbe assai lungo!).
Questi monumenti andranno innanzitutto restaurati, lavorando in accordo con le strutture territoriali del Ministero per i Beni culturali, e cercando i fondi necessari (pubblici, europei, o anche di mecenati - ma non di sponsor - privati).
Quindi si dovrà elaborare un progetto che tenga insieme la ricerca (e dunque la produzione di conoscenza e cultura) e l'apertura ai cittadini: un progetto che restituisca ognuno di questi monumenti alla città, sia sul piano culturale che su quello sociale. La gestione potrebbe allora essere affidata a cooperative di giovani storici dell'arte e dell'architettura laureati nelle università napoletane, che operino in convenzione sia col vomune sia con i fipartimenti universitari: secondo uno schema socialmente e culturalmente sostenibile, e orientato secondo i principi fondamentali della Costituzione.
Naturalmente, perché questa prospettiva sia credibile, il comune di Napoli deve essere un medico capace di curare prima di tutto se stesso: recuperando e utilizzando gli enormi spazi monumentali che possiede. L'Albergo dei Poveri di Ferdinando Fuga è solo il più clamoroso dei banchi di prova che attendono una gestione comunale che ha ereditato un bilancio completamente dissestato.
Ma non ci sono scorciatoie: se si crede che un altro modo di possedere è davvero possibile, bisogna saperlo dimostrare.

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