VISIONI

Il basso profondo del reggae vibra lungo le rive dell'Isonzo

FESTIVAL - L'Overjam di Tomlin celebra la musica giamaicana
CORZANI VALERIO,TOMLIN

Per capire il reggae basta risalire l'Isonzo. Sembra un paradosso e in effetti è un'affermazione che merita un po' di chiarimenti. Innanzitutto va segnalato che a Tolmin, nell'Alta Valle dell'Isonzo, in Slovenia, si celebra da quest'anno un festival internazionale dedicato alla musica giamaicana. Va poi specificato che il palco pomeridiano del festival è piazzato sulle rive del fiume che nasce da queste parti e termina poi la sua corsa nei pressi di Monfalcone. La riva diventa una spiaggia accogliente nella quale fino al tramonto si raduna il popolo del festival tra musiche, fumo e bagni refrigeranti. Da quella postazione confortevole è piuttosto difficile decidere di spostarsi, ma quando ci si convince a farlo, risalendo l'Isonzo in canotto o addentrandosi nella boscaglia, si può assaporare il flash che rivela l'essenza del reggae. Perché entrando nei silenzi del bosco si finisce per sentire un solo «suono», ripulito da tutto il resto, e quel suono è un basso profondo. E il basso profondo, rotondo e greve, è, in fondo, l'essenza del reggae.
Di bassi profondi se ne sono sentiti tanti nel corso delle serate dell'Overjam Festival di Tolmin. Alcuni sonnolenti, altri graffianti e lividi, altri ancora densi, magari esaltati dall'aggiunta della quinta corda sul basso elettrico. Una rassegna come questa è fatta anche per declinare vari tipi di reggae e convocare gruppi da tutto il mondo,
La Giamaica naturalmente guidava la pattuglia degli artisti headliners. Alcuni di loro hanno mantenuto le promesse. Tra questi Barrington Levy, classe 1964, tra i fondatori del dancehall reggae (una forma di reggae fragorosa ed essenziale, carica di vis ritmica), vocalist dallo stile inconfondibile e dalla voce fortemente ispirata al canto di un mentore come Bob Andy. A Tolmin ha messo insieme un set di un'ora e mezza senza pause, senza che il ritmo perdesse mai forza e senza far mancare agli adepti l'appeal dei suoi più grandi successi, a partire dalle perle contenute nell'album Here I Come (85). Anche il più giovane Protoje, vero nome Oie Kan Olivierre, nato in Giamaica nell'81, figlio della cantante Lorna Bernett e lanciato nel jet set internazionale dal producer Don Corleone ha portato in Slovenia uno show e uno stile riconoscibili, in particolare un manipolo di canzoni nelle quali il reggae delle radici si permeava di soul, di r&b e perfino di shuffle. Tra i Giamaicani che hanno deluso sul palco dell'Overjam mettiamo senz'altro gli Inner Circle, un gruppo storico, che calca le scene dal '68, che ha generato un altro grande gruppo, i Third World, e ha poi trovato nell'innesto del cantante Jacob Miller lo stimolo per inaugurare una svolta rasta roots. L'oggi degli Inner Circle è fatto però di un suono un po' troppo slabbrato e rimbombante, di un'alchimia di gruppo non sempre affiatata e soprattutto di una frequentazione efferata di uno dei clichè più pericolosi di questa musica: la ricerca dell'approvazione del pubblico. Si tratta di un vizietto che hanno cavalcato anche altri artisti sul palco dell'Overjam, ma con gli Inner Circle la pratica è risultata davvero indisponente con almeno un paio di break di questo tipo in ogni canzone.
Non è un caso che il gruppo che ha assestato la zampata migliore dal punto di vista performativo, non abbia praticamente mai utilizzato questo volgare escamotage. Stiamo parlando dei Groundation e del loro leader Harrison Stafford, e stiamo parlando del loro meraviglioso reggae impastato di jazz e psichedelia. I Groundation portavano a Tolmin il materiale del loro ultimo album, Building an Ark, uscito qualche mese fa. Sono attivi dal '98 e sono capaci di mettere in moto sul palco un rutilante, magmatico, ipnotico roots reggae. Ogni musicista suona magnificamente e i loro brani, spesso lunghi quasi dieci minuti, sono cavalcate piene di sorprese, con ampi spazi per l'improvvisazione e per le sezioni dilatate del dub.
Del dub, e di buona fattura, c'era anche nella musica degli svizzeri Dub Spencer & Trance Hill, un gruppo nato per tributare omaggi in chiave reggae/dub al repertorio degli spaghetti western italiani. Missione riuscita, il quartetto rossocrociato ha invaso il palco Overstage con i suoi sintetizzatori, i suoi minimoog e la sua sapiente opera reinterpretativa.
Tra gli italiani, molti hanno calcato il Main Stage senza paura e con buona personalità. Come Momar Gaye, Sun Soley, Sista Namely, i Quartiere Coffee e i friulani Mellow Mood che prendono l'insegna da un singolo del '67 di Marley e portano in giro uno spettacolo maturo, pieno di buon reggae, di pezzi originali e di un «mood» che richiama felicemente il testo della canzone del grande Bob: «Suonerò la tua canzone preferita/Il buon umore si è impossessato di me/Lascia che la musica mi scuota/Perché ho bisogno d'amore».

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