VISIONI

L'indie-rock pulsa sotto al cielo di Sicilia

EVENTI - Ypsigrock Festival, un palcoscenico per esplorare dall'Italia nuove tendenze e passioni giovani della scena musicale
CORZANI VALERIO,CASTELBUONO

Intorno a Castelbuono ci sono le Madonie, montagne aspre, impegnative, che salgono veementi e che danno a questa cittadina, già di per sé piazzata a 600 metri sul livello del mare, un profilo ancora più sorprendente. Siamo in Sicilia, a una trentina di chilometri dal mare cristallino di Cefalù, eppure qui si respira un'aria diversa, da Sicilia arcigna e da paesaggio montano. In questi giorni poi, dopo mesi e mesi di siccità, il cielo ha deciso di scaricare su questo centro un'acqua dispettosa e irruenta. Col risultato di colorare il panorama di fresco a sprazzi e di un'imprevedibilità che ricordava più le Fiandre che il Mediterraneo che guarda all'Africa.
Tutto perfetto in fondo. Perché gli ossimori e le scommesse impossibili si giocavano anche su un altro fronte in questo stesso posto, in questi stessi giorni. Così l'immagine di una Sicilia «atlantica» suggerita dalla metereologia di questa porzione d'agosto faceva il paio con l'immagine di Castelbuono centro pulsante dell'indie-rock, meta di migliaia di appassionati e faro delle proposte più interessanti del sottobosco alternative. L'Ypsigrock Festival, da diciassette anni a questa parte è proprio questo: una vetrina fenomenale per la Sicilia più attenta ai sommovimenti della cultura giovanile e un punto di riferimento per gli addetti ai lavori che cominciano a vedere in questo festival, nato, come spesso accade, dalla follia entusiasta di un manipolo di appassionati, un'opportunità imprescindibile o comunque auspicabile per tastare il polso, dall'Italia, a una miriade di scene musicali che fermentano in altri stati e in altri continenti.
Si spiega così l'esclusiva nazionale di molti dei concerti in programma (in primis quello dei corteggiatissimi Editors) e si spiega in questo stesso modo l'entusiasmo di tutti gli artisti che non finivano di ringraziare dal palco per essere stati convocati davanti a un pubblico davvero attento e competente. Naturalmente la quota di entusiasmo era amplificata dalla consapevolezza di trovarsi a suonare all'interno di «catini magnifici come il Chiostro di San Francesco e, soprattutto, Piazza Castello, uno spazio sovrastato e avvolto dalla stupefacente fortezza Normanna che domina Castelbuono. In questo mélange di amene coincidenze si sono così ascoltate molte cose belle e molti progetti interessanti.
Per quel che riguarda la quota siciliana, selezionata dalla crew del festival al termine di un contest piuttosto agguerrito, le zampate sonore più affilate sono da ascrivere da una parte al trio dei Black Eyed Dog e al loro rock venato di blues e di psichedelia e dall'altra agli Omosumo e alla loro elettronica esplosiva, supportata da bassi, chitarre elettriche e da testi in italiano molto funzionali al groove delle loro ritmiche digitali. Tutte digitali erano anche le ritmiche di matrice dubstep di due songwriters interessanti e cool come Deptford Goth e Indians, con il primo che mostrava di subire in maniera più imbarazzante l'ingombro di un referente importante e consacrato come James Blake. I danesi Efterklang e i californiani Local Natives si sono invece liberati da tempo del peso dei paragoni per diventare protagonisti casomai d'innovazioni stilistiche personali e riconoscibili. Il combo scandinavo si è esibito in apertura di quella che sarebbe stata una notte da tregenda, con la pioggia e il vento che avrebbero di lì a poco sferzato violentemente il palco di Piazza Castello (del resto «Ypsigro» arriva dal glossario bizantino Psykròs e vuol dire luogo fresco, altezza umida...).
Forse questo frangente di provvisorietà ha reso un po' meno ficcante il set del gruppo diretto da Casper Clausen che pure ha messo in gioco il solito campionario di atmosfere languide, voci da crooner, tappeti densi di ritmiche che oramai non guardano più alla folktronica quanto a una sorta di soul bianco piuttosto flemmatico e siderale. Tutt'altro discorso per i Local Natives che hanno acceso una serata, quella finale del festival, che era sold out molte settimane prima dell'inizio della rassegna.
I ragazzi di Orange County hanno raggiunto una sinergia d'intenti e di svolgimenti davvero encomiabile e i loro brani sono pieni di sorprese, di colpi di scena, di piacevoli agguati. L'afro-pop o il tribal pop in cui li si incasellava ai tempi di Gorilla Manor non è, e forse non era già allora, la definizione esatta per descrivere il loro suono. A sentirli domenica scorsa a Castelbuono, così sfavillanti e generosi, veniva semplicemente da raccontarne il carisma, forse il più fulgido esempio di Pop venuto fuori da quell'area dopo gli aurei anni sessanta pilotati dai Beach Boys. Cori armonizzati meravigliosamente, batterie che privilegiano i timpani e i tom, chitarre chiare, tastiere ricche e colorate che non sovrastano mai le voci: un tocco speciale che ha esaltato noi come tutto il pubblico del festival. Una consonanza che non si potrebbe riportare a proposito del concerto degli Editors. I quali hanno dimostrato di avere un pubblico assatanato e fedele anche da queste parti, ma che invece non sono riusciti a smuoverci più di tanto, palesando un problema di eclettismo e di riconoscibilità piuttosto clamoroso, problema che solo i ripetuti successi al botteghino riesce evidentemente a mascherare. Chiudere gli occhi in un concerto della band di Birmingham sembra di volta in volta poter catapultare l'astante in un live dei Depeche Mode, poi di David Bowie, poi dei Coldplay, degli U2, dei Rem (ai quali hanno rubato spudoratamente anche qualche frammento melodico)...
Non capiamo sinceramente cosa faccia accendere la scintilla dei loro fan, se non una passione smodata per la fotocopiatrice. Fotocopiare per fotocopiare allora meglio concentrarsi su un unico referente, come sembrano aver fatto gli svedesi Shout Out Louds che hanno senza dubbio un amore sviscerato per The Smiths e per i vocalizzi inconfondibili di Morrissey...Un amore che hanno esternato in maniera credibile anche sul palco dell'Ypsigrock con una nota di merito ulteriore conquistata sul campo: hanno suonato almeno dieci pezzi sotto una pioggia battente, con i cavi elettrici esposti alle temperie e su un palco senza copertura. Alla faccia di chi dice che suonare non è un mestiere pericoloso.

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