Canto a mezza voce per la pulzella guerriera tra le anime perdute

LIRICA - «Giovanna d'Arco», omaggio verdiano al Festival di Valle d'Itria
PENNA ANDREA, VALLE D'ITRIA

Nell'anno del bicentenario verdiano il festival della Valle d'itria attinge per la sesta volta a titoli operistici di Verdi, proponendo Giovanna D'Arco, di ascolto assai episodico e fortuna critica travagliata, Giovanna D'Arco. Sospesa fra scelte estremamente sperimentali, specie nell'orchestrazione, e impostazioni più convenzionali dettate anche dai tempi stretti di composizione, l'opera è ricca di musica magnifica, pur soffrendo per lo sviluppo diseguale dei tre personaggi principali, a partire dalla stessa protagonista, divisa fra missione mistico-militare, amore paterno e sentimenti per il re Carlo VII, di lei innamorato. Non pochi problemi dunque per direttore d'orchestra e regista, lasciando poi da parte la scrittura vocale, fra le più impervie e varie del giovane Verdi. L'allestimento visto domenica scorsa nel Cortile di Palazzo Ducale a Martina Franca è riuscito a restituire l'opera con risultati apprezzabili.
La regia di Fabio Ceresa, aggirando il problema dell'inevitabile povertà di mezzi, asciuga le linee della vicenda, mantenendo costante la temperatura drammatica sulla scena fissa, un basso edificio posto fra due logge, davanti al muro. Attorno a esso agiscono i protagonisti e con loro i contendenti storici, in blu i Francesi e in rosso gli inglesi, un albero disseccato pronto a diventare una minaccia di rogo, i mantelli fissi su bastoni che evocano la foresta; poi ancora i contendenti ultraterreni, in nero i servi del demonio, in bianco gli spiriti beati, coro e mimi uniti. Didascalico, troppo schematico? Sia pure, ma non di meno una lettura chiara, che esalta gli episodi drammaturgici in stretta assonanza con la musica e si fonda su trovate semplici, come nel caso del padre, Giacomo, metà genitore verdiano metà fondamentalista religioso, pronto a mandare la figlia a purificarsi fra le fiamme a fin di bene, qui involontaria anima nera della vicenda fino alla suo pentimento.
Un grande manto intabarra Giacomo, minaccioso orante medievale; lo stesso manto diviene poi cortina di spiriti maligni, per imprigionare e avvolgere Giovanna, la guerriera illibata che in morte si trasfigura come la vergine che l'ha ispirata per l'intera opera. Riccardo Frizza squadra la partitura in solidi blocchi sonori, ma si impegna anche a non trascurarne le preziosità di orchestrazione, nella Sinfonia, nei cori , nelle arie e nei duetti, mantenendo un passo costantemente spedito senza però mettere in affanno le voci. Ottimo livello per il terzetto principale, all'altezza della scrittura verdiana: la Giovanna luminosa di Jessica Pratt, che più che sulla cavata gioca sull'accento, sulle mezze voci e sui bagliori acuti; il re Carlo di Jean Francois Borras, cantato con sicurezza, condivide il timbro privilegiato con il baritono Julian Kim, un Giacomo nobile ma capace di scatti perentori. Ben in parte anche il Delil di Roberto Cervellera e Emanuele Cordaro nei panni di Talbot. Livello e impegno apprezzabili per l'Orchestra Internazionale d'Italia e prova nel complesso positiva per il coro del Teatro Petruzzelli di Bari quasi sempre. Alla recita del 28 luglio ha assistito il ministro Bray, che in un incontro con vertici amministrativi della città e del festival ha ribadito il suo impegno perché il Festival della Valle d'Itria abbia pari dignità rispetto a altre rassegne più attentamente aiutate dallo Stato, le risorse pubbliche per la musica non diminuiscano, e nel complesso ci sia un'inversione di tendenza nell'investimento in campo culturale. Non è il solo festival di Martina Franca a felicitarsi del primo, passo che, subito dopo quella serata, è stato mosso in tal senso con il decreto a favore della cultura.

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