VISIONI

«Elektra», sentimenti nella forza del destino

OPERA · Strauss secondo Chéreau e Salonen
PENNA ANDREA,AIX-EN-PROVENCE

Tutti con il naso all'insù quest'anno al festival di Aix-en-Provence, vista la frequenza di piogge «monsoniche» serali che hanno messo a serio repentaglio qualche recita di Rigoletto e Don Giovanni , nel cortile dell'Archeveché. Da qualche anno tuttavia il festival si è dotato anche del Grand Théâtre de Provence, che ha già accolto la produzione del Ring con Simon Rattle e i Berliner Philharmoniker. Su quel palcoscenico mercoledì si è levato il sipario su Elektra di Strauss, nuova e attesissima produzione per la regia di Patrice Chéreau ( si vedrà alla Scala nella prossima stagione, e poi a Berlino e a New York). Sul podio Esa-Pekka Salonen, alla sua prima Elektra , chiede all'Orchestre de Paris, impegnata al limite delle proprie forze, sonorità dolci e cristalline a un tempo, frastagliate da lame violentissime di suono, preannunciate già dalle quattro note del minaccioso motivo di apertura. La direzione di Salonen sembra tutta tesa a incontrare l'idea centrale di Chereau, la compassione profonda per le tre principali figure femminili, indagate nel singolo ineluttabile destino come nelle violente relazioni che le agitano. I duetti fra sorelle, la toccante agnizione fra Elettra e il fratello, lo scontro fra madre e figlia sono dunque pervasi da un calore, una ricchezza di colori e sfumature rari da ascoltare nelle letture monumentali e barbariche di ascendenza germanica, cui peraltro la partitura ben si presta ( e qualche pur minimo dissenso per Salonen infatti c'è stato). Chéreau scava nei sentimenti e nei rapporti delle tre protagoniste, recuperando persino in Clitennestra bagliori di un amore materno ormai sepolto dagli incubi mortiferi. Simmetricamente quei rapporti si riverberano sulle figure minori, con le ancelle più anziane, il vecchio servo ( un commovente, canuto Donald McIntyre, salutato da applausi interminabili) che si raggruppano, si consolano e si riconoscono all'arrivo di Oreste, in opposizione alla torma delle scherane di Egisto. A quest'ultimo la morte viene data in scena, ma per mano del vecchio aio, l'ultranovantenne, prodigioso Franz Mazura. Oreste, un accigliato e bravissimo Mikhail Petrenko, alla morte della madre scivola in un'apatia di sonnambulo e esce di scena durante la sfrenata danza di Elettra, senza degnare di uno sguardo le sorelle, ormai consegnato al suo destino e alle Furie. Accanto alla luminosa, inesausta Crisotemide di Adrianne Pieczonka giganteggia Evelyn Herlitzius, Elettra nevrotica e disperata. Mise anonima, pantaloni e canottiera, ma volto che non si dimentica neppure dalla ventesima fila, la Herlitzius brucia la parte con un'energia incontenibile, centrando sicura ogni nota (aiutata certo dal vistoso taglio dopo il confronto con Clitennestra), anche nei passaggi in pianissimo. La sua Elettra smania e rotola come un'ossessa, per mutarsi infine in statua immota nell'ultima scena, quasi una perenne memoria funebre dello strazio degli Atridi. Perfetta l'ambientazione creata dalla vasta scena di Richard Peduzzi, una corte di servizio di un palazzo che la gigantesca nicchia rivela come monumentale, grazie anche alle luci calibratissime di Dominique Bruguière. Successo convito e un vero trionfo per la protagonista e il team registico. Fra le altre occasioni da cogliere a Aix ci sono la sensualissima Elena di Cavalli, in prima esecuzione moderna, messa in scena con un gruppo di bravi giovani artisti da Jean-Yves Ruf, e la creazione The House take n over di Vasco Mendonça ( da Cortàzar), entrambi in tournée europea nel 2014; oltre alla ripresa di Don Giovanni , con un autorevole Mark Minkowski alla testa della London Symphony Orchestra e un cast magnificamente calato nella geniale reinvenzione drammaturgico-registica di Dmitri Tcherniakov, spettacolo «scandalo» del 2010, fortunatamente già filmato in un dvd fresco di uscita.

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