Una decina di anni fa, la giornalista e scrittrice Flavia Amabile pubblicò per Alberto Perdisa Editore Mangiare per strada, la prima guida al cibo «ambulante» italiano. Chi fosse incuriosito, provi a cercarla su Internet. Fingerfood e mode varie dovevano ancora arrivare. E dunque mangiare per strada, aiutandosi con le nude mani, risultava soltanto pratica di scarsa educazione. Poi, a sdoganarla, hanno provveduto Slow Food e gli antropologi dei menu popolari.
In queste righe, vista l'aria che tira, tracciare una mappa esemplificativa del buon cibo takeaway, serve ad unire al piacere dei sapori quello del risparmio nel corso di una vacanza.
Italia, allora. Non senza aver ricordato che all'estero, mangiare per strada o in un mercato rientra tra le abitudini quotidiane. Basti citare a Barcellona il chiosco di Pinoche alla Boqueria, la piazza Ddjama el fna di Marrakesh dove la sera le lanterne brillano su pentole e fornelli, i carretti fumanti che circolano per le strade di tante città d'Oriente. Ma restiamo a noi, partendo da Padova, piazza della Frutta. Lì il banchetto del folparo Guido serve inarrivabili folpi (moscardini), cozze, vongole, seppioline. Il vino si mesce nell'attiguo Bar dei Osei, imbattibili panini alla porchetta.
I farinotti liguri, cioè gli artisti della farinata, hanno nell'Angolo della farinata di via Boccadasse 67, a Genova, un ottimo rappresentante. Farinata a tutto tondo, acciughine fritte e friscieu di baccalà. Emilia che vai, piadina che trovi. Nei chioschi, soprattutto. Con particolare attenzione ai tanti di Cesena, patria ogni due anni del Festival internazionale del cibo di strada. Esperienza diretta ci porta a consigliare il piccolo regno di Luca e Silvia, corso Matteotti 41. I palati robusti in ferie a Firenze sosteranno da uno dei trippai della città, maestri delle interiora bovine. I panini con il lampredotto (stomaco) e la trippa al sugo hanno costruito la giusta fama di Nerbone, mercato di San Lorenzo. La pizza al taglio, o bianca e imbottita con prosciutto e fichi, è il cibo di strada romano.
Le teglie messe in fila a Testaccio da Farinando, via Luca della Robbia; oppure nello storico Forno di Campo de'Fiori, rendono impaziente l'attesa del proprio turno. Pizza, sartù, gattò, timballo sono l'oro di Napoli da portar via, a patto che sia autentico e 'cesellato' come si deve. Davanti alla soglia di Pellone, via Nazionale 93, si celebra il trionfo di pizze e fritti. Mentre in vico della Quercia 17, a dispetto dell'insegna esotica, Timpani e Tempura, i fratelli Tubelli sventolano la bandiera del cibo da asporto alla napoletana, gattò e via masticando. Pani ca'meusa e sfincione, cioè Palermo. Il primo, pane con milza e polmone di vitello, uno spruzzo di limone, ha indirizzi certi nelle Focaccerie Testagrossa di Corso Calatafimi 91 e Nasile in Piazza Nascé 5. Il secondo, focaccia lievitata naturale su cui vengono posati acciughe, pomodoro cotto, formaggio e olio, dà il meglio di sé sul banco della pizzeria Astoria, via Libertà 145. Triplo hamburger multistrato con ketchup e maionese? Ma mi faccia il favore!
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