Al principio del preludio entra a con passi studiati il paggio Oscar, cui rapido risponde l'ingresso di Samuel e Tom, accompagnati dal circospetto tema che ne adombra la congiura. Con una breve ma efficace trovata visiva si apre Un ballo in maschera di Verdi, nell'edizione concertante presentata sabato scorso all'Accademia di Santa Cecilia di Roma. Antonio Pappano marca da subito la cifra eminentemente teatrale della sua direzione, che ha l'ulteriore pregio di riequilibrare in parte l'ineluttabile preminenza acustica dell'orchestra, questione mai del tutto risolta al Parco della Musica. Alla testa dei complessi di Santa Cecilia in eccellente forma e soprattutto in piena sintonia con il podio, Pappano propone un Verdi acceso e esaltante, splendidamente giocato sui contrasti dinamici nei diversi momenti notturni: l'antro di Ulrica, l'agguato, la vendetta, l'abbandono del grande duetto d'amore, con una tensione drammatica che scorre sotterranea, per esplodere durante la gioia nevrotica della festa in maschera.
Il terzo atto resta nella memoria per l'alternarsi calibrato fra il cesello dei passaggi di conversazione con il quartetto d'archi e l'éclat delle scene di pompa festiva, che presto si muta in dramma. I cantanti sono poi sollecitati a entrare nel disegno interpretativo di Pappano, impegnato a mettere in valore anche le frasi apparentemente più riposte, integrando nel flusso narrativo il senso di ogni parola, perfino a dispetto delle bizzarrie che campeggiano nel libretto di Somma.
Il tenore Francesco Meli, forse il più atteso, conferma le ottime prove delle esecuzioni verdiane al Teatro dell'Opera ( i recenti Simon Boccanegra e I due Foscari, entrambi diretti da Muti), affrontando l'impegno della parte di Riccardo con un'attenta gestione dei propri mezzi, esaltando la bellezza del timbro fresco e luminoso, porto con un'insolita grazia appena velata di languore, ma senza cedimenti nei passaggi scoperti. Liudmyla Monastyrska tenta di contenere le dovizie di una vocalità esplosiva e si impegna al meglio per tentare di realizzare la «parola scenica» verdiana, tratteggiando un'Amelia appassionata. Sorprendentemente inchiostrato nella dizione, il baritono Dmitri Hvorostovsky si riscatta da una prestazione poco partecipata con un'aria travolgente, mentre Dolora Zaijck mantiene voce e classe necessarie per rendere piena giustizia alla parte Ulrica. Perfetta per grazia e naturalezza Laura Giordano, il paggio che ogni sovrano potrebbe desiderare, centrate le parti dei congiurati Carlo Cigni e Riccardo Zanellato. Fra le tre voci scelte dal coro, spicca Silvano di Massimo Simeoli.
Grande successo alla prima, con applausi a scena aperta durante la recita. Nelle repliche (oggi l'ultima ) il pensiero non potrà non correre al ricordo del direttore Bruno Bartoletti, scomparso a Firenze domenica scorsa, che con l'Accademia di Santa Cecilia ha anche inciso una storica edizione di Un ballo in maschera. Per mezzo secolo eccellente interprete dell'opera italiana, da Donizetti a Dallapiccola, nei teatri del mondo intero, Bartoletti ha anche offerto all'Italia occasioni importanti di conoscere titoli all'epoca meno frequentati, da Janacek a Britten.