CULTURA

Sognando il barocco distesi su letti mobili

INTERVISTE - Il brasiliano Ernesto Neto a Palazzo Pamphilj
DI GENOVA ARIANNA,

Una Galleria dal passato (e presente) illustrissimo come quella di Palazzo Pamphilj (sede dell'ambasciata del Brasile), diventata lo scrigno del barocco di Pietro da Cortona e un artista contemporaneo, Ernesto Neto che con le sue architetture organiche smonta i confini geografici degli spazi e li rimonta a misura di corpo e pelle. I due, a distanza di secoli, hanno avuto l'occasione di imbastire un intenso dialogo nella mostra Olhando o céu, a cura di Emanuela Nobile Mino (visitabile fino al 23 giugno).
E così, chi si avventuri in quel palazzo splendido, finisce catapultato fra due mondi - quello della storia mitologica di Enea e quello che ha il sapore nostalgico dell'infanzia e dei carrinhos, girelli che questa volta non servono per imparare i primi passi, ma per ribaltare la prospettiva e approdare a una dimensione «visionaria».
Da lì, avvolti morbidamente nella stoffa elastica e bianca, sdraiati in totale relax, con l'ausilio di un binocolo si può guardare il cielo, scoprendo i trucchi del trompe l'oeil di Cortona, lasciandosi andare all'architettura misteriosa di Borromini, l'artista che disegnò le linee fuggenti dell'ambiente poi ricoperto da trenta metri di affresco, offrendo su un piatto d'argento lo sfondamento dei muri e il perseguimento del sogno.
Ernesto Neto, 49enne di Rio de Janeiro, torna indietro nel tempo e ricomincia da qui, dall'abbattimento del «bordo», del margine attraverso l'illusione. D'altronde, lui, l'ha sempre praticata questa deflagrazione dei luoghi, chiamando in campo tutti i sensi del corpo umano: sia quanto invita ad entrare in architetture viscerali che emanano odori di spezie e sembrano collassare spinte dalla forza di gravità, sia quando infrange il divieto di tutti i musei - don't touch! - e nelle sue costruzioni trasparenti e mobili chiede la partecipazione fisica dello spettatore (tattile, uditiva, visiva, olfattiva, appunto).
Neto arriva trafelato all'appuntamento dopo aver gironzolato per piazza Navona alla ricerca di un posto dove fare colazione e racconta di essere appena rientrato a Roma da un piccolo tour delle meraviglie. Mète non da poco le sue: la Cappella giottesca degli Scrovegni a Padova e la basilica di Assisi. «Immagino che gli italiani siano abituati a camminare con il naso all'insù. Li vedo entrare in una qualsiasi casa e alzare il viso verso l'alto. Per noi brasiliani non è un atteggiamento normale... Così, volevo cercare di intuire le emozioni, cosa si prova, cosa si deposita nell'anima...». E, spiega, siccome è scomodo camminare con gli occhi fissi al soffitto, nella galleria di Cortona ha pensato di regalare sculture in movimento capaci di raccogliere il corpo in posizione orizzontale, quasi dei letti mobili. «Questi carrinhos in legno e stoffa mi ricordano le barche, ti cullano e ti fanno viaggiare...», dice sorridendo. Perché per Neto - l'ha ripetuto in diverse occasioni - il tempo è anche una dimensione del piacere. Non è un caso che il bordo degli undici girelli sia color rosa giocattolo e morbidissimo. Mentre parla, si stende e continua a raccontarsi in tutta tranquillità, aderendo perfettamente alla sua opera.
In Olhando o céu, per una volta Neto sembra privilegiare l'aspetto visivo, in realtà non c'è nessun deragliamento dai suoi precedenti lavori. È una installazione interattiva, con i materiali di sempre, che gioca con l'elasticità e la sensualità degli spazi, siano pure quelli dipinti da un pittore barocco. Anzi, l'artista brasiliano torna alle origini: da bambino, infatti, voleva fare l'astronauta e studiare astronomia. Poi, è passato alle sculture con l'argilla, alle installazioni totalizzanti che cambiano la percezione e infine ha recuperato il suo desiderio di «guardare il cielo». Anche se al posto delle stelle c'è Venere.
Nylon, polveri colorate, stoffe «membrane» sono gli elementi delle città organiche costruite in tutto il mondo da Ernesto Neto. Che però, pur anelando alla trasparenza e alla democrazia degli ambienti, al loro respiro, alla circolazione dell'atmosfera senza barriere, ad una precarietà e sospensione (come nel ponte-giungla per funamboli Kink), ha sempre evitato il vetro. «Sì, è vero - confessa - non sono mai riuscito a lavorare con il vetro. È qualcosa che forse si collega a un trauma che ho vissuto quando ero piccolo e mi sono seriamente ferito con dei cocci di una bottiglia di Coca Cola. Da allora, lo temo e lo evito...». Ogni sua scultura mette in comunicazione interno ed esterno, rappresenta architetture bucherellate, quasi bozzoli di pareti contro cui sbattere senza farsi male, ma che si modellano sul corpo umano e lo accolgono, accarezzandolo. «Il mio lavoro - dice - gira tutto intorno alla natura. E per me non c'è separazione con ciò che è considerato artificiale, come un edificio, una struttura che vive nello spazio. Siamo tutti parte di essa, non possiamo fare una divisione tra corpo e mente. La cultura ha provocato molti distacchi...».
Al modernismo brasiliano - che pure Neto ha «masticato» giorno dopo giorno semplicemente osservando i quartieri delle città del suo paese o studiando i grandi maestri - l'artista risponde con una inedita sensualità. Mescolando la lucidità della matematica alle lussureggianti foreste. Un cocktail dal gusto tropical-geometrico.


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