La scopa che spazza via il Buon Tempo antico fa il suo lavoro con efficienza. Si infila nel centro storico delle città, individua un negozio, un caffè, una trattoria, un laboratorio artigiano, ed entra in azione. Basta alzare un canone d'affitto già esoso, puntare sull'età del proprietario, mettere sul banco un'offerta tutto e subito, giocare la carta delle normative comunitarie in materia di pubblici esercizi, e pulizia è fatta.
Giorno dopo giorno, da Trieste a Palermo, la mappa delle attività commerciali del Buon Tempo Antico registra l'ennesimo vuoto. L'articolo 117 della nostra Costituzione dovrebbe tutelare i negozi e i locali, i mestieri e le botteghe d'arte, aperti da più di un secolo. Dovrebbe farlo. Ma, come succede per tanti altri e diversi casi, le parole della Costituzione rimangono lettera morta. Digitando su google «Chiusura locali storici in Italia» compaiono decine e decine di articoli, petizioni, appelli, che denunciano abusi privati e pubblica indifferenza quando una saracinesca che da cent'anni e oltre andava su e giù ogni giorno, si abbassa per sempre. «Bologna. Il Panificio Atti, da 140 anni nel centro storico, ha già ridotto il suo personale e ha deciso di tenere chiuso il negozio per l'intera giornata del sabato». «Bari. Nella centrale via Sparano, il canone di locazione di un negozio di 50-60 metri quadri si aggira sui 5-6mila euro al mese». A Roma e a Milano sono scomparsi, continuano a scomparire, osterie e trani, bar e drogherie, botteghe e antri minuscoli dove si riparavano bambole e orologi con pazienza certosina. A Torino, sotto i portici di via Po, il cattivo esempio lo dà una cartoleria d'epoca, con le vetrine stracolme di gadget e pupazzetti di pessimo gusto. Solo l'insegna e la struttura esterna in legno sono sopravvissute, perché (almeno questo!) la legge ne tutela l'incolumità.
Inutile dire che sulle macerie della memoria sorgono falansteri dedicati al suggestivo mondo dei cellulari, all'intimo femminile e maschile omologato, ai temporary outlet, ai delicati effluvi delle piadinerie e delle pizze al taglio. La signora Giulia, titolare ormai anziana di una merceria fiorentina, ha cercato invano qualcuno che continuasse la sua attività. Poi se n'è andata. Proprio la continuazione di attività potrebbe rappresentare la chiave giusta per chiudere la porta delle speculazioni e aprire quella della salvaguardia.
Basterebbe che i comuni recepissero, opportunamente adeguata, la legge in tema di «destinazione d'uso« che impedisce ai nuovi proprietari di un casale di campagna disinvolte trasformazioni di un fienile, di una cantina, di una stalla. Se, nel cuore di una città, chiudono un cartolaio o una sartoria, sono un cartolaio o una sartoria a dover riaprire. Senza alcun dubbio è cosa non facile da mettere in pratica. Ma in un mondo del lavoro su cui grava il peso della disoccupazione, imboccare questa strada, spianarla offrendo incentivi e facilitazioni fiscali, aiuterebbe a salvare piccoli pezzi del passato e a creare qualche speranza nel futuro.
ldelsette@yahoo.it