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La droga, la proibizione e le due chiese

FUORILUOGO
GALLO ANDREA,

Nell'inserto Fuoriluogo de «il manifesto», l'11 marzo 1997, usciva un'intervista ad Andrea Gallo curata da Grazia Zuffa, alla vigilia della seconda conferenza governativa sulle droghe, che si sarebbe tenuta di lì a poco a Napoli. Nei mesi precedenti era venuto alla ribalta un movimento per portare a compimento il progetto riformatore iniziato col referendum del 1993, che aveva abolito la penalizzazione dell'uso personale di droga. Legalizzazione della cannabis, decriminalizzazione completa del consumo personale, sviluppo a tutto campo della riduzione del danno: questi gli obiettivi principali in vista della Conferenza. Il dibattito non investì solo gli addetti ai lavori, ma il mondo politico, l'opinione pubblica e le istituzioni locali: molti consigli comunali fecero propria la piattaforma con ordini del giorno.
Alla vigilia di quell'importante appuntamento istituzionale, la Chiesa scendeva in campo con un documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia contro la legalizzazione delle droghe leggere e perfino la riduzione del danno, in nome del fatto che «la droga non si vince con la droga».
Si levò forte, pur se purtroppo solitaria, la critica radicale e argomentata di don Gallo, acuto conoscitore della dialettica interna alla Chiesa e al mondo cattolico, attento politico e generoso combattente per la libertà e la dignità di tutti, contro ogni ipocrita paternalismo. Una battaglia in cui don Gallo tiene uniti l'impegno pubblico laico e l'ispirazione religiosa.


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«Il Documento del Pontificio Consiglio rappresenta una presa di posizione che ha il suo peso e la sua autorevolezza. È un documento ufficiale, che viene mandato in tutte le diocesi del mondo. Ma non ci si ritrova né un'impostazione morale né etica: non c'è alcun reale interesse per la difesa dei giovani, della loro salute. Il documento si limita a dire, con arroganza, al cattolico di schierarsi per il proibizionismo. Il problema è invece stimolare tutte le agenzie educative. Questo trincerarsi dietro il segnale della proibizione statale è proprio un sintomo di «resa» sul piano educativo.
Occorre invece rinunciare alla punizione e alla proibizione nel rispetto del principio di autodeterminazione della persona. Gli uomini sono figli di Dio, sono stati creati a sua immagine e somiglianza, questo vorrà pur dire qualcosa. E poi, se si vuole essere onesti, dopo il fallimento di oltre trent'anni di proibizionismo, dopo che nessuno oggi può ignorare che dietro il proibizionismo c'è il narcotraffico, bisogna avere il coraggio di dire che è ora di sperimentare la legalizzazione.
Il senso del documento è innanzitutto politico. Il 4 novembre scorso, l'arcivescovo di Genova, Tettamanzi, che è anche vicepresidente della Cei, ha tenuto una specie di conferenza in cattedra contro la droga «libera». È la Cei che ha sollecitato il Pontificio Consiglio, proprio in vista della Conferenza governativa. Badate che è così su tutti i temi, prendiamo ad esempio la battaglia per la scuola cattolica. Subito dopo partono le «veline» per i vescovi. L'ultimo che protestò per le veline fu il cardinale Pellegrino, dicendo: se ci avete nominati vescovi, lasciateci un briciolo di autonomia, casomai ci richiamerete dopo...
Purtroppo io sono l'unico cristiano cattolico e prete, povero prete, che ha cercato di contestare il documento. Anche quando il mio arcivescovo ha tenuto il discorso di cui ho detto, io l'ho contestato sui giornali locali. Ho chiesto anche come mai non siamo stati consultati: la nostra comunità è ormai da trent'anni sul territorio, e anche se siamo un po' stonati rispetto al coro, il nostro vescovo doveva ascoltarci prima di parlare».

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